OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

domenica 29 marzo 2009

leggende di legno ed ambienti onirici

Jan Švankmajer
Gli anni Settanta

Decennio successivo, vi è maggiore esperienza e continua a presenziare eccletticità, le proposte continuano ad essere eterogenee e miste.
Kostnice (L'ossario, 1970). Un "documentario" girato in un ossario boemo, sotto l'occhio propositivo di Jan. Si può dire che gran parte del lavoro era già fatto, il posto vanta una disposizione delle ossa umane tale da formare vere e proprie sculture e immagini evocative. Accompagnamento dolce e lirico per rappresentazioni che paiono abitazioni d'oltretomba, femori disposti da sembrare vasi ornamentali. Un modo per esorcizzare la morte, rendere omaggio ad un passato sepolto.
Con Don Sanche (1970) ritornano le marionette umane. Oltre al rapporto con gli oggetti l'autore ci precisa che noi ed essi possiamo fonderci in un'unica immagine. La storia ripresenta il famoso personaggio Don Giovanni, rifacendosi principalmente all’opera lirica di Mozart dove compare. Non esageriamo se affermiamo che l'aspetto esterno di pupazzo legnoso non pregiudica la rappresentazione del dramma ma lo rende particolare ed espressivo.
Zvahlav aneb Saticky Slameného Huberta (1971). Pezzo forte del periodo, mostra il magico collegamento tra l'uomo ed i vecchi giocattoli da infante, in questo caso con rilettura del poemetto Jabberwocky di Lewis Carroll. Švankmajer ha sempre tenuto in rilievo la sua visione surrealista della giovanissima età e qui ne dà prova estrema. Danze di oggetti, soldatini, vestiti e bambole; il pensiero ed il sogno rivolto ad essi. Magnifiche le sequenze con il classico gioco su carta del labirinto ,in vece della continuazione della vita, interrotto da un gatto nero che può venir letto come la tenera età che non vuole terminare. Il finale ingabbierà il felino...
Leonarduv Denik (Il diario di Leonardo, 1972) vanta una collaborazione anche con l'Italia. Disegni scientifici animati nello stile dell'artista praghese, accostati a goffe immagini principalmente sportive. La rappresentazione scientifica del sogno cozza con la materiale debolezza umana?
Otrantský zámek (Il castello di Otranto, 1977) è un altro parto surrealista unito ad un classico letterario, proprio l’opera di Horace Walpole. Originale la forma di intervista ad un professore che ipotizza una possibile locazione della costruzione non nel Sud dell'Italia ma a Náchod, Repubblica Ceca. Si fantastica anche con le parti sovrannaturali dell'opera, in particolare sul ritrovamento di presunti richiami ad un gigante. Ad ornare il tutto, la canonica regia d'animazione che espone stralci della storia.

lunedì 23 marzo 2009

parto di marionette

Jan Švankmajer
Gli anni Sessanta

Parlare testualmente del praghese Švankmajer è un'impresa ostica, la sua visione surrealista è un'immersione in veloci sequenze allucinanti ed artistiche. Gran parte dell'opera omnia registica è occupata da cortometraggi e tratteremo l'argomento dividendo la produzione per decenni. Daremo anche una nostra interpretazione per ogni pellicola, ma è ovvia la complessità e la soggettività di giudizio su un’arte squisitamente onirica e del pensiero.
Esordisce nel 1964 con il corto Poslední trik pana Schwarcewalldea a pana Edgara (L’ultimo numero del signor Schwarzewald e del signor Edgar), teatro di "marionette umane" in cui due attori mascherati propongono dei numeri circensi e di intrattenimento, con sottofondo di suoni martellanti e musica popolare; questo in parole poverissime... Evidente la metafora del confronto, la rappresentazione della coscienza umana e del materialismo, l'imporre la propria volontà, l'invidia, la distruzione interiore e del prossimo, ma anche la fantasia e la concezione propria; tutto questo in poco più di dieci minuti, cioè il tempo che, come vedremo, sarà una media approssimata di tutti i corti dell'artista ceco.
Johann Sebastian Bach: Fantasia G-moll (J.S. Bach: Fantasia in sol minore, 1965) è forse il meno immediato di tutto il decennio. Porte, finestre, muri e strade in un tripudio di animazione “stop motion” (detta anche “passo uno” suo grande marchio di fabbrica), tutto in bianco e nero e sonorizzato tramite organo. Rapporti, differenze ed accostamenti fanno da padroni allegorici.
Hra s Kameny (1965) tratta l'universalità del tempo. Protagonista è proprio un orologio "rubinetto", che figlia man mano cose più complesse: l'amore, l'odio, tutto rappresentato dalla durezza della pietra.
Con Rakvickarna (La fabbrica di bare, 1966) ritorna il tema della contrapposizione, condito di altro. Colorati burattini amatoriali in un ambiente di cartapesta, articoli di giornale e documenti illustrativi, marche di prodotti e musica da teatrino. Apre un'allegra banda che passa la mano al caos quotidiano, fino ad arrivare all'idea di famiglia e ai sentimenti verso il prossimo. Finale prevedibile, è lo spettacolo della vita. Forse la migliore opera dei primi sessanta.
Et cetera (1966): l'esistenza come nelle immagini esplicative dei vecchi dizionari... animate dal maestro!
Historia Naturae, Suita (1967): fra Arcimboldi ed un libro di scienze, l'arte naturale delle creature terrene e l'uomo che le distrugge, passando poi a compiere la stessa azione su se stesso.
Zahrada (Il giardino, 1968) è l'unico di questo primo lotto a non utilizzare né passo uno né animazioni. Parte convenzionalmente ma poi rapisce, la sorpresa è nella mente dell'attore e dello spettatore. Rappresentazione sociale, tutto va curato e coltivato.
Picknick mit Weissmann (1968): l'uomo bianco è l'etereo protagonista... La mancanza delle piccole gioie porta al decadimento, alla fine. Foglie a coprire il grammofono, per simboleggiare l'appiattimento.
Byt (L'appartamento, 1968): “Lynchano” ed in bianco e nero. Un uomo si ritrova in un appartamento del suo inconscio, questo dopo aver perso la via maestra, i propri percorsi. La luce tenta di aprire un varco ma uscire è difficile, si viene respinti. Allora cerca di trovare input, cibo per la mente. Si arrangia, prende quello che riesce, tramite i mezzi a disposizione, ma senza guida, aiuto o propria e forte volontà è un'impresa castrata. Un personaggio appare fugacemente e senza il dovuto slancio, ma fortunatamente il finale è liberatorio: ciò che cercava il protagonista era se stesso. Il migliore della seconda metà del decennio, si inizia a comprendere un tema stilistico del regista che proseguirà negli anni successivi.
Tichý týden v dome (Una tranquilla settimana in casa, 1969) è il meno breve del decennio in termini strettamente tempistici. Metaforicamente vi è la difficoltà di espressione, di dialogo, di esternazione; tutto è imbrigliato, liquidato. I gesti quotidiani inframezzano ed hanno il loro spazio. In questo caso presenzia il bianco e nero alternato con il colore, la dimensione onirica è rappresentata da quest'ultimo.

venerdì 20 marzo 2009

le ventiquattro

Körkarlen
(Il carretto fantasma)

1921
Svezia
Regia: Victor Sjöström
Scritto: Selma Lagerlöf, Victor Sjöström

Una favola nordica che non sfigura neanche ai nostri giorni. Sjostrom, regista poliedrico, sceneggia e gira un'opera dal romanzo originale di Selma Lagerlöf. Nella magia della pellicola anni venti ci viene mostrata una leggenda scandinava in cui chi esala l'ultimo respiro durante lo scoccare dell'anno nuovo dovrà essere il cocchiere del carretto che preleva le anime dei morti, questo per tutta l'annata appena iniziata. Ciò è il tema portante della storia di David Holm e di tutte le persone che cirocondano la sua vita disagiata.
Tecnicamente siamo su piani alti; l'autore era un curioso sperimentatore e la cosa appare evidente nell'uso, in collaborazione con il direttore della fotografia Julius Jaenzon, delle luci, di posizionamenti di camera e soprattutto nella sovraimpressione, vera perla di questo film. Il carro e tutto ciò che è trapassato si aggirano per il mondo materiale nel loro essere incorporei e con la leggendaria abilità tipica degli spettri di attraversare muri ed ostacoli; la figura del carretto nel tetro ambiente cimiteriale o quando percorre le acque marine rimane impressa nella memoria di chi riesce a contestualizzare e valorizzare. Consigliata la visione della versione integrale svedese, che fa uso delle differenze cromatiche per rappresentare interni, esterni e momenti focali.
Le figure umane vantano una recitazione teatrale, forte e marcata, tipica del periodo e la cosa viene ancor più congiunta dalla divisione delle pellicola in atti, ben cinque. La retrorica è molto semplice ed apparentemente moralista ma ottimisticamente leggibile secondo il momento. Ottimo l'intersecarsi di storie che permette una equa immedesimazione ed è da ricordare che determinate situazioni non sono sparite nel corso del tempo. A tal proposito citiamo l'avversità cinematografica (ed ovviamente non solo) degli scandinavi verso l'alcolismo, trattata anche nel recente e di successo Lasciami Entrare. In conclusione appare chiaro che il tema è semplice, ben comprensibile e lontano da sfaccettature e particolari che avrebbero caratterizzato il mondo di celluloide a venire ma nonostante questo rimane una ferma colonna della cinematografia svedese.

mercoledì 18 marzo 2009

androidi di insolita provenienza

L'uomo meccanico
1921
Italia
Regia: André Deed
Scritto: André Deed

Precursore di produzione italiana. Trama , sequenze, finale, sarà tutto riproposto in molte pellicole della successiva cinematografia mondiale. Purtroppo ciò che abbiamo l'opportunità di vedere è solo una parte dell'opera, originariamente completamente perduta, ritrovata recentemente in Brasile e restaurata nel miglior modo: ottime le virate di colore e plauso alla volontà di mantenere il tratto grafico originale delle didascalie.
Il plot vede uno scienziato inventare un potente androide comandato a distanza ed un gruppo di delinquenti, tra cui una donna, fa di tutto per impossessarsi del necessario per la costruzione. Il tutto sfata ma successivamente la donna riesce, grazie alla forzata collaborazione della nipote dell'inventore, ad avere la sua creatura da mandare a creare caos nel mondo. Fortunatamente il fratello dello scienziato riesce ad opporsi grazie alla costruzione di mostro meccanico simile all'altro che usa per combattere l'originale.
Le sequenze più interessanti sono ovviamente quelle con la creatura presente, davvero avveniristica è la modalità di comando a distanza: un'intera stanza piena di leve, ruote e pulsanti simili al comando di una nave ed il gigante visibile attraverso un grande schermo somigliante ad un plasma TV. Il design della creatura ricorda certi personaggi della sci-fi USA anni Cinquanta, ad esempio il Robbie de Il pianeta proibito, anche se la possibilità di un'ispirazione sia poco plausibile per la già citata causa del ritrovamento quasi attuale della pellicola, al massimo si è potuta sfruttare qualche probabile foto di scena o locandina. Particolare attenzione vogliamo dare ai momenti di distruzione perpetrati dal mostro che, per quanto goffissimi per i nostri giorni, sono da considerare più che sufficienti per il tempo. Grande lo scontro finale nel teatro, versione anni venti delle lotte fra città dei colossi fantascientifici giapponesi.
Il senso della pellicola è riconducibile a molte metafore, ad esempio la mancanza di controllo di certe idee di potenza (che sarebbero molto presto arrivate anche nel nostro Paese) o più materialmente la pericolosità di invenzioni belliche atte alla distruzione su grande scala.

lunedì 16 marzo 2009

opaca trasparenza dalla Francia

Racconti Fantastici
Guy de Maupassant
Mondadori Editore

Passiamo a parlare di testi. Quando tratteremo l'argomento libri citeremo il nome dell'editore, questo per non confonderli con le pellicole cinematografiche.
Nota è l'importanza di Maupassant circa la letteratura in genere ma non pensiamo di esagerare se lo consideriamo fondamentale nell'ambito di quella del terrore.
Il volume in esame contiene trenta racconti, la summa delle sue discese fantastiche. Grande rilievo ad argomenti quali il magnetismo, il profondo sentimento della paura, l'umana pazzia, le apparizioni ed in particolare ad una tematica che davvero rimane nella mente del lettore, la "percezione limitata"; secondo il francese abbiamo sensi così ristretti da permettere l'acquisizione soltanto di pochissimi elementi presenti nel mondo. Spettrali e note presenze sono anche quelle dei celebri L'Horlà e La madre dei mostri, probabilmente i più inquietanti nell'accezione ristretta del termine. Pochissimo spazio al grottesco, qualcosa di ironico è propriamente contenuto soltanto nel divertente L'albergo. Meritano menzione anche i sentimentali La chioma e Lettera trovata indosso a un annegato, ma con queste citazioni non intendiamo sminuire le restanti opere, tutte necessarie alla comprensione dell'immaginario dell'autore.
Vita travagliata e troppo breve per un genio che non disdegnava di cadere in tentazioni definite maligne ed impure e che l'hanno forgiato verso pieghe umane esposte nei suoi testi. Ovvia la trasposizione del suo pensiero verso altri sistemi di comunicazione come il cinema o il teatro, peccato che di materiale in celluloide ne è stato adattato ben poco per il nostro paese.

sabato 14 marzo 2009

il vituperato Ed


Figura controversa il sig. Edward D. Wood Jr., la sua fama negativa lo caratterizza anche fra quelli che non hanno mai visto una sua pellicola.

In questa sede non ci dilungheremo sul Wood uomo ma andremo ad analizzare un paio delle sue pellicole più rappresentative.
Plan 9 From Outer Space (da noi Piano 9 da un altro spazio), 1959.
Opera cinematografica che può vantare addirittura la dicitura di più brutta del mondo e trattasi sicuramente del suo lavoro più noto.
Un misto di horror e fantascienza, si parla della venuta sulla terra di extraterrestri forniti di armi di distruzione di massa e del potere sovrannaturale di risvegliare i cadaveri.
Un ambiente cupo fa da sfondo alle vicende e lo spettatore è già all'inizio confuso dalla presenza di scene "extra" e apparentemente fuori contesto, parliamo di quelle che vedono protagonista Bela Lugosi, in realtà appartenenti ad una precedente idea mai realizzata. Per quanto il collage possa far sorridere è da riconoscere il coraggio e la fantasia del regista che riesce letteralmente ad appioppare al film qualcosa di completamente diverso. La storia globale in sé non è banalissima né improponibile ma il quadro tecnico la porta inesorabilmente verso momenti di ridicolo involontario, terribili le cloche di cartone in mano a dei piloti e scarnissimi certi ambienti. Proprio la povertà degli effetti ha decretato la fama dell'opera in questione. Gli interpreti non sono degni di nota ma c'è da spezzare una lancia a favore di Vampira, attrice immagine di un genere e incarnante lo stereotipo della dark lady, in quanto è bastata la sua presenza a conferire un certo fascino gotico-retro al tutto. Curiosi anche gli stretti spazi cimiteriali dove si aggirano gli attori, c'è odore di arrangiamento ovunque ma ad un occhio benevolo e molto positivista appaiono come dei piccoli quadretti macabri. Il dialogo finale è il coronamento cultistico del tutto, fra un paio di macchinari ci si infila in un cunicolo filosofico che nonostante una evidente forzatura nasconde uno spunto davvero di seria riflessione.
In parole povere: è definibile la peggior opera della storia di celluloide? Non a parer nostro, esiste qualcosa di ancor meno curato su tanti punti di vista ed è da rimarcare che proprio la definizione in sé è un qualcosa difficile da circoscrivere.
Glen or Glenda, 1953. L'anno d'uscita è proprio ciò che colpisce, un film sul travestitismo in quei tempi era una bell'azzardo. Viene raccontata la vita di un individuo caratterizzato da questa abitudine, le sue manie, le sue difficoltà, tutto esposto verbalmente da un narratore fuori campo.
L'originalità di esecuzione è la principale caratteristica, la base della storia è arricchita di sequenze di varia impostazione. Anche qui è presente Lugosi, nelle vesti di una scienziato che approfondisce l'argomento in modo alquanto bizzarro; è in un luogo lugubre ed oltre a fare rifermenti di non semplice comprensione viene splittato con sequenze apparentemente discordanti. Celebre è la mandria di bufali in corsa ma a nostro avviso la cosa può essere vista come metafora della brutalità della gente, restia ad accettare determinate cose e pronta a calpestare con violenza qualsiasi "diversità". Presenti anche sequenze moderatamente sessuali e l'apparizione onirica di un individuo demoniaco che potrebbe essere la coscienza del protagonista.
Più che di parte e favoreggiante verso la caratteristica che vuol trattare sembra che il lungometraggio spinga alla riflessione in modo che lo spettatore possa trarre le sue conclusioni, a patto di aver ben compreso la questione. Proprio questo proporrei al lettore prima di giudicare l'autore di queste opere per sentito dire: scoprire, analizzare e dare un parere.

il gigante del popolo

불가사리 (Pulgasari)
1985
Corea del Nord, Giappone
Regia: Chong Go Jo, Sang-ok Shin
Sceneggiatura: Se Ryun Kim

La creatura distruttrice a modo nostro! Potrebbe essere questo il motto di presentazione di Pulgasari, pellicola simil Kaijū giapponesi di produzione nord coreana. Siamo nel 1985, ma l'atmosfera è quella delle realizzazioni dei Cinquanta/Sessanta.
Un malvagio monarca vessa la popolazione contadina, maltrattando ed arrestando chi non segua determinati dettami. Sarà questa la sorte del fabbro di un villaggio, ma tra sofferenza e la successiva morte avrà il tempo di far nascere il "godzilliano" Pulgasari, da una manciata di riso. Un successivo passo magico porterà la creatura da grande pochi centimetri a colosso di decine e decine di metri, con l'unica necessità di essere nutrito con del ferro. Ovvio sarà il suo schierarsi tra le file le popolo e in man forte alla già da tempo crescente rivolta dei giovani ribelli.
La trama nobile ed ideologica si accompagna ad una proposta visiva ricca di ingenuità, ma resa non malissimo nel complesso. Si è fatto uso anche di esperte maestranze giapponesi e c'è da dire che le sequenze di distruzione di palazzi e muraglie sono credibili, lo stesso non si può dire dei primi piani del bestione e dei vari effetti per rendere l'idea di gigantesco. Anche le sequenze di scontri fra gli eserciti non fanno gridare al miracolo, ma la computer grafica, tanto usata nelle battaglie filmiche di oggi, era in fase affatto consolidata, nonché improponibile per il contesto geografico. Tratti del film degni di nota sono anche quelli eccentrici ed originali, la sequenza dell'esorcismo in primis.
Il tocco autoriale c'è, innegabile.

venerdì 13 marzo 2009

il mondo circoscritto

Dead-End Drive In
(Drive-in 2000)
1986
Australia
Regia: Brian Trenchard-Smith

Scritto: Peter Carey, Peter Smalley

Anni Ottanta che più tali non potrebbero essere... trattati in senso critico.
Il mondo è sull'orlo del collasso su tutti i fronti e due ragazzi cercano di vivere e sopravvivere. Una sera decidono di entrare in un drive-in ma questi non è soltanto ciò che sembra...
Pellicola sfarzosa contenente messaggi vieppiù adattabili a periodi storici. All'interno dell'apocalittico scenario troviamo creste, cotonature, borchie e tanto spray ma tutto questo è solo un adattarsi dei giovani e segregati abitanti. La loro vita è scandita a ritmo di cinema e hamburger, giochi puerili e violenza; proprio ciò che vuole il sistema, burattini da indottrinare e da tenere buoni. C'è spazio anche per subdolo razzismo ed individualismo ma a loro va bene così, "fuori" troverebbero una situazione ancora peggiore, sono consapevoli di essere nei gradini più bassi delle società.
La pellicola scorre veloce, diverte e ci sorprende per l'attualità dei temi trattati.

giovedì 12 marzo 2009

la fantascienza da mancina

Intendiamo pubblicare gli articoli in un modo non sempre lineare, un percorso cronologico o argomentativo preciso non sarà la consuetudine
Iniziamo con...
Una nota casa di distribuzione ha recentemente dato la possibilità di scoprire delle pellicole non propriamente canoniche, poco note: parliamo delle produzioni fantascientifiche della Defa, l'organo cinematografico statale della fu Repubblica Democratica Tedesca. In particolare ci concentriamo su tre film, i primi due beneficiari di collaborazioni con altri Paesi: Der schweigende Stern di Kurt Maetzig, del 1960 e tratto da un romanzo di Stanislaw Lem (in Italia Sojoux 111 Terrore su Venere oppure Il pianeta morto), Eolomea, 1972, di Herrmann Zschoche (Eolomea - La sirena selle stelle), Im Staub der Sterne, 1976, di Gottfried Kolditz (La polvere delle galassie).
In queste produzioni le convenzioni vengono stravolte, l'immagine di marziale grigiore che ci si aspetterebbe è quasi del tutto assente. Ci troviamo di fronte ad una visione "coloratamente utopistica" e nello stesso tempo filosoficamente profonda.
Nel primo lungometraggio viene presentata una realtà globale fondata sulla collaborazione fra i popoli, unita ad uno sviluppo tecnologico che ha portato alla raggiungimento di alte vette cosmiche. Un corpo celeste caduto sulla terra spingerà ad una spedizione verso il "pianeta morto" del titolo, il quale si rivelerà in tutte le sue caratteristiche. Ciò che colpisce in primis è l'impronta storico-politica: Stati Uniti gomito a gomito con l'Urss, congressi internazionali e spedizioni multietniche fanno da padrone. Rilevanti anche i cenni su improbabili e ucronici momenti storici, sempre trattanti pacifiche situazioni a livello planetario. La realizzazione prettamente tecnica è ugualmente povera e artistica, i mezzi scarseggiavano e ciò appare chiaro, ma l'arte di arrangiarsi ha aiutato a creare immagini fantastiche, originali e sprizzanti cromatismi. Molto belli i costumi e la superficie del pianeta centro degli eventi.
Eolomea, pur presentando caratteristiche simili, si ricorda maggiormente per la profonda carica filosofica. La sparizione di una flotta di ricognitori condita da assenza di risposte radio è il filo conduttore della pellicola; si cercherà una spiegazione nella profondità della sceneggiatura. Bravi gli interpreti, debitamente agghindati con gioielli dell'arte sartoriale, spicca la presenza femminile di Cox Habbema, aggraziata attrice nederlandese ben in parte con il tema. Le basi e gli ambienti abbondano di "cartone" e i mezzi non si discostano dalla loro realtà di modellini, ma l'effetto globale rende comunque. Un'attenta visione non mancherà di portare lo spettatore alla riflessione.
Im Straub der Sterne è quello più forte dal lato visivo, ci racconterà di una spedizione verso un luogo da cui era partita una richiesta di soccorso. Un vero peccato che certe opere siano misconosciute, c'è da rimanere strabiliati di fronte alle idee impiegate per rappresentare una popolazione aliena. Intrattenimenti, usanze e modo di cibarsi fanno sorridere tale è l'originalità, le stanze e le costruzioni non sfigurerebbero in nessun museo di arte moderna. C'è spazio anche per interpreti di teatro e ammiccamenti adamitici.
Le differenze fra codeste opere d'oltrecortina e ciò che la produzione occidentale ci ha abituato a vedere sono varie. Nelle prime non c'è eccesso di violenza, non ci sono volgarità gratuite e personalità dominanti. Scordiamoci i "son of a bitch" detti a denti stretti e soprattutto dimentichiamo gli eroi impossibili, dannati e affascinanti delle produzioni mainstream Usa e a seguire. Nei film analizzati troviamo entità semplicemente dedite al proprio lavoro e al benessere globale, per questo apprezzate e stimate. Gli scontri personali sono principalmente una critica a se stessi o opposizioni a dominazioni troppo calcate. Il fine è un progresso che nulla ha a che vedere con le teorie di conquista e sottomissione. Utopia, certo, ma la fantascienza non è spesso questo? E come rimanere indifferenti alle parole, estratte da un extra del film, dell'operatore di ripresa di Eolomea che dice che la produzione fantascientifica Defa è stata limitata perché era difficile realizzare pellicole citanti mondi in cui sono abolite le classi sociali e regna l'uguaglianza? Poniamoci certe domande, accompagnandole sempre al rispetto di chi ha patito gli errori dell'uomo e le degenerazioni d'ideologia ben presenti nei luoghi dove sono nati questi film.

mercoledì 11 marzo 2009

sipario alzato


Iniziamo la trasmissione di quest'avventura dopo anni di "monoscopio"; elucubrazioni, esposizioni verbali, risposte e non risposte, curiosità... tutto non scritto ed archiviato. Adesso vogliamo farlo ed intendiamo trattare ed analizzare media di intrattenimento profondo o meno: pellicole di genere, punti fermi cinematografici, divertissement, passatempi in celluloide, letteratura consolidata od apparentemente anomala, creazioni oniriche e tanto altro... Normale la presenza del conseguente corollario psico sociale atto al contesto. Per questa volta tecnicamente sbrigativi, abbiamo scelto questa piattaforma per accessibilità, fruibilità e possibilità di dare in pasto quella quantità di testo che spesso subisce delle bristattazioni ingiuste.

Ora, come direbbe qualcuno, Buona Visione.