OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

lunedì 27 aprile 2009

versi nella notte

Harpya
1979
Belgio
Regia: Raoul Servais
Scritto: Raoul Servais

Pura tensione ed atmosfera impacchettati in otto di minuti di cortometraggio.
Raoul Servais è un arista belga dedito a varie tecniche cinematografiche, solitamente animazioni miste a recitazione di attori in carne ed ossa, come in questo caso. Presentiamo quest'opera perché si lega mnemonicamente a chi ha avuto la fortuna di vedere un contenitore televisivo trattante brevi film d'animazione, trasmesso anni fa in Mediaset e curato da Maurizio Nichetti.
Notte: un uomo passeggia per la città e nota un'aggressione. Salva la vittima, ma si rende subito conto che ha le fattezze di un'arpia, metà donna e metà uccello. Nonostante ciò la conduce nella sua casa, ma la creatura lo perseguiterà... fino al prossimo adescamento.
L'aspetto visivo creato è accentuatamente "spezzato", le parti disegnate sono minimaliste e l'effetto che si viene a creare accoppiandole con gli attori è parodistico ed originale. Anche il personaggio dell'arpia rende bene e non sono da dimenticare i tocchi di classe grotteschi, vedere l'"amputazione" e ciò ne consegue. Il colpo da maestro rimangono però i suoni, semplici anche questi, ma azzeccati come tempi, martellanti ed ossessivi.
A volte si creano film del terrore che scivolano nella comicità involontaria, questo è un caso inverso, un intento caricaturale che angoscia.

profondo Oriente... partendo da Occidente

Storie di spettri giapponesi
Lafcadio Hearn
Giovanni Tranchida Editore


Lafcadio Hearn era un eclettico del mondo, nato in Grecia da padre irlandese e madre greca, emigrato successivamente negli Stati Uniti e poi arrivato dove voleva, in Giappone. Parliamo di un occidental,e quindi, ma nel finale della sua vita divenne un estremo cultore e conoscitore del Sol levante, a tal punto assorbito che, "burocratimmersamente", il suo nome verrà tramutato in Koizumi Yakumo.
Il titolo del libro non è dei migliori, in senso di messaggio verso il pubblico. Dà l'idea di cellulari e spaventati scolari in divisa che affollano le sale adibite a J-Horror. Qui invece andiamo oltre, nelle profondità dello spirito nipponico ed in ogni strada, nel bruno degli occhi a mandorla fino alle scale dei templi buddhisti.
Le storie raccolte sono prelevate da varie opere originali: Kwaidan, In ghostly Japan, Shodowings, Glimpses of unfamiliar Japan. Un sunto essenziale ma esauriente delle profondità dell'anima giapponese. Racconti di spiriti, d'amore (Un karma passionale su tutti), di rancore e di gioia, ma anche descrizioni minuziose di ricorrenze (evocativo è Al mercato dei morti), partendo dai minimi gesti che compongono le vite di educate e serene esistenze. Grande spazio alla reincarnazione (La storia di O-Tei), vista anche come fattore positivo che permette continuità e realizzazione di desideri inespressi. Curato anche l'aspetto religioso, monaci vivono situazioni legate al loro essere, profondi e carichi di simbolismi sono Storia di un Tengu e Frammento. Ovviamente ospiti quasi onnipresenti sono le entità spettrali, anche nelle manifestazioni più familiari agli occidentali: alla ricerca di un gesto umano che dia la pace, vendicativi o accondiscendenti. A tal proposito citiamo La riconciliazione, racconto ispiratore per i creatori di Kaidan, maestosa pellicola cinematografica degli anni Sessanta, contenente anche altre tre rappresentazioni di Hearn, presenti al di fuori di questa antologia. Protagonisti anche oggetti legati ad entità, alla magia e alla riflessione, da citare La fanciulla del paravento e Uno specchio e una campana. C'è posto anche per agli animali, ben fatto Ululati.
Un limite che può scoraggiare il lettore occidentale è la ricchezza di termini puramente estremo orientali, anche se c'è da dire che le note dell'autore sono lì a correre in suo aiuto, ma sono pochine rispetto alla mole di parole per noi inusuali. Sarebbe buona cosa fare ricerche mirate tramite altri mezzi , la cosa arricchirebbe ancor di più la metabolizzazione
Concludendo, chi è alla ricerca di qualcosa di profondo, tradizionale e spettrale circa la Terra Giapponese può abbandonarsi a questo splendido volume.

venerdì 24 aprile 2009

il vorace nuovo secolo

Jan Švankmajer
Gli anni Duemila

L'ultimo decennio porta una semi rivoluzione, vengono approfonditi alcuni temi e allo stile generale viene concessa una struttura maggiormente fruibile.
Otesánek (2000) è una forma svankmajeriana di una favola ceca dai risvolti macabri, quindi già predisposta ad un'interpretazione oscura.
Una coppia è ossessionata dall'impossibilità di avere un bambino, ciò porterà ad una forma di follia sfociante nel soprannaturale: il marito trova una radice di forma vagamente umana e la regala alla moglie, tale sarà la forza mentale che il ciocco si animerà e divorerà tutto il possibile, persone comprese, fino a diventare di dimensioni spropositate. L'ambientazione è un vecchio condominio ceco con varie tipologie di abitanti, gli eventi sono attentamente seguiti da una bambina.
Metafora della creazione, della volontà umana e dell'amore/odio. Il mondo gira così, si generano individui in particolari situazione sociali, costoro ne soffrono e diventano maligni, purtroppo non per colpa loro. Una visione alternativa potrebbe essere quella del nuovo capitalismo da poco arrivato in terra boema, ovviamente impersonato dal "mostro"; esso fagocita vecchi mestieranti (come l'anziano postino) e raccolti. Il finale viene suggerito dalla favola, protagonista una zappa. Anche il personaggio padre della bambina viene rappresentato come un classico uomo pigro, schiavo della TV, della pubblicità e restio al progresso culturale.
Si può dire che sia il primo film di Švankmajer in cui, oltre al grottesco, esistono momenti di comicità diversiva, utili a sdrammatizzare il truce tema.
La stop-motion fa il suo egregio lavoro con la creatura, da adulta non sempre visibile chiaramente. Ottime anche le interpretazioni.
Sílení (2005). Švankmajer (re)incontra Poe ed il marchese De Sade. Un ragazzo fa la conoscenza di un bizzarro individuo, un marchese che vive fuori dal tempo, che lo accoglie nella sua dimora, luogo dove avvengono strani riti. In seguito il giovane verrà ospitato, apparentemente convinto dal nobile ma in realtà deciso a seguire una ragazza conosciuta precedentemente, in una strana casa di cura dove ci sarà il culmine della vicenda.
Due scuole di pensiero dominano la pellicola: una inneggia al libertinismo (come nel precedente Spiklenci Slasti), al piacere ed a tutti modi per arrivarvi. L'altra condanna il vizio, asseconda le punizioni. Gran spazio anche alla religione che, secondo l'ottica di alcuni personaggi, è falsa e illusoria. Jan ci regala quest'opera sotto una forma inusuale per lui, ma più simile ai canoni cinematografici. Poe fa capolino più volte ma l'ispirazione più grande proviene dal racconto Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma, portato dal grottesco ad una forma più dura e sanguinosa. De Sade aleggia nella personalità del marchese protagonista e in tutto lo svolgersi morboso dei temi.
Questa volte le animazioni sono solo un contorno, i personaggi in carne ed ossa riescono a rendere bene il messaggio, ma va comunque menzionato il piccolo ruolo del passo uno: pezzi di carne e lingue umane (il corpo e la parola) gioiscono e sono impegnati in vari azioni durante tutta la pellicola; c'è libertà, non ci sono catene. Nel finale viene proposta una carrellata in un reparto frigo di un supermarket, lì dorme la bistecca e con essa la possibilità di manifestare i propri piaceri.
Metacinematografica l'"hitchcockiana" presentazione ad inizio pellicola, in cui il regista ceco descrive ciò che andremo a vedere.
L’ultimo titolo, Prezít svuj zivot (teorie a praxe), è stato presentato a Venezia nel 2010, e in seguito anche in altri eventi a tema.

Rendiamo noto che questo saggio viene presentato in una forma maggiormente curata ed approfondita tramite il libro/rivista Moviement Magazine, nel numero dedicato a Švankmajer segnalato in altri post.

venerdì 17 aprile 2009

può un pollo essere libertino?

Jan Švankmajer
Gli anni Novanta

In questo periodo l'autore inizia finalmente ad essere riconosciuto fuori patria, anche se mai abbastanza... Avviene anche lo stop ai cortometraggi, i successivi lavori saranno caratterizzati da durata canonica.
Konec stalinismu v Cechách (1990): la caduta delle cortina di ferro permette la creazione di questo corto politico surrealista. Icone di leader sovietici e cecoslovacchi si alternano a fotografie ed animazioni, le prime raffiguranti l'utopia ideologica, le seconde tragiche realtà, derive dell'umana crudeltà. Rappresentazioni di busti che partoriscono figure a loro figlie, patiboli di creta e teschi che si cibano dell'immagine di morte. Particolare attenzione alla Primavera Di Praga e verso Dubcek, unico esente dalla berlina grottesca presente nella pellicola. Nella conclusione si passa al successivo periodo storico, ma si resta incatenati a qualcosa di difficilmente scaricabile…
Jídlo (1992), letteralmente "alimenti", è un'opera fondamentale nell'immaginario di Jan. La sua ossessione per il cibo, toccata nei precedenti lavori, qui esplode totalmente. Divisa in tre parti. La prima tratta la macchinosità dell'alimentazione con un "distributore umano" che viene intercambiato tramite il suo cliente, all'infinito... La seconda è una critica al perbenismo, con aggiunta di cannibalismo ben rappresentativo per ogni campo in cui si viene a contatto con il prossimo; tripudio di passo uno e grande abilità nel fonderlo con gli attori in carne ed ossa. Il terzo rende visiva e visionaria la definizione "siamo ciò che mangiamo"; le portate davanti agli avventori sono la loro personalità sotto cibaria.
Faust (1994) è naturalmente la visione surreale della famosa opera, nata da un'espressione cartacea tedesca, riproposta in tante salse e da vari autori. Il tratto saliente è l'ambientazione quotidiana, con protagonista, nelle vesti di Faust, un individuo medio, impegnato nel tran tran quotidiano, che entra nel mondo tentatore in maniera naturale. Come consuetudine per l'autore ceco, le marionette hanno importanza fondamentale, sono i protagonisti come i comprimari, si alternano agli umani e ne prendono possesso trasformandoli in attori di legno nei momenti di maggior rilievo, come quando Faust vive i suoi desideri dati in cambio della sua anima. Ottima la volontà di creare una sorta di metateatro, le vicende sono nel contempo lampi sovrannaturali nella vita reale e rappresentazioni sceniche, senza dare una precisa spiegazione; da rilevare il fatto che una delle più importanti espressioni sul Faust è stata proprio l'opera teatrale di Christopher Marlowe, con questo c'è forse una volontà citazionista. La "rappresentazione" avviene quindi in una classica struttura teatrale, ma anche in strade e parchi in cui il resto del mondo continua a svolgere le proprie mansioni. Scena principe è di sicuro l'evocazione di Mefistofele, inscenato come il proprio io, dove Švankmajer dà prova di sapere personalizzare anche situazioni ormai entrate nel mito.
Spiklenci Slasti (1996) è puro libertinismo su celluloide. Lungometraggio che narra di un gruppo di personaggi che danno sfogo alle loro fantasie nei modi più impensabili. C'è l'uomo con il culto della vicina e del di lei rapporto con il pollame, la vicina stessa ed il desiderio di sottomissione di lui, la postina e la sua “droga alimentare”, la presentatrice TV con la sua predilezione ittica, suo marito, feticista del contatto d’oggettistica e l'edicolante con il culto della donna televisiva di sopra. I modi per esprimersi sono di un'inventiva allucinante, ma necessitano della completa solitudine del soggetto stesso. Questo è il tema saliente, si parla quindi di esigenze irrealizzabili da altri umani? Il più profondo piacere è raggiungibile solo con il proprio io e con il pensiero di ciò che ci si aspetta dall'altro? Non a caso coloro che venerano un altro individuo, è il caso dei vicini e dell'edicolante, ne ricreano le fattezze tramite fantocci (che si animano nell'immaginario dei loro creatori tramite stop motion) e mezzi meccanici, i quali serviranno per l'orgia autoerotica mentale.
In contrapposizione c'è da dire che sono tutti consapevoli sulle azioni del prossimo, ciò significa che c'è un'accettazione generale, una furtiva e globale libertà d'espressione e di piacere talmente forte che, nella parte finale dell'opera, le pratiche oniriche iniziano a confondersi con la realtà materiale.

domenica 12 aprile 2009

dovete chiudere gli occhi, altrimenti non vedrete niente

Jan Švankmajer
Gli anni Ottanta

È il decennio più prolifico e quello che decreta la consacrazione anche fra i suoi cultori occidentali, grazie soprattutto al suo primo film di lunghezza classica. Gran varietà di proposte, situazioni anche molto distanti l'una dall'altra.
Zánik domu Usheru (La caduta della casa Usher, 1981). Il primo dei due adattamenti da scritti di Edgar Allan Poe. Come raramente accaduto nelle sue produzioni antecedenti, Švankmajer fa leva sulla narrazione, stralci verbali del racconto accompagnano interpretazioni animate e surrealiste dell'opera, tutto in maniera magistrale e poetica. Il crescendo di tensione è reso benissimo e l'onirico visivo appare inaspettato e creativo. Il finale, come la storia pretendeva, gela il sangue delle vene. Nuova vivacità che rapisce gli amanti dell'autore bostoniano, dà altra linfa allo scritto.
Moznosti dialogu (Possibilità di dialogo, 1982) è uno dei più apprezzati ed ispirativi suoi cortometraggi. Diviso in tre fasi, tratta l'approccio in differenti visioni, facendo uso di teste formate da oggettistica o in materiale modellabile. Stupefacenti animazioni ed espressioni. Nella prima, “arcimboldiane” creature si divorano, distruggono e ricreano l'un l'altra. Caratterizzate ognuna da un misto di oggetti contestualizzati al loro essere non si accettano e quindi si modificano fino al parto di semplici personaggi impersonali. Nella seconda fase si analizza la vita di coppia, i primi contatti e la procreazione. Prevedibile il finale repulsivo per la piccola creatura e indovinabile la distruzione del duo. Fase tre: l'incomunicabilità. Uno pone lo spazzolino, l'altro il dentifricio, uno il pane, l'altro il burro. C'è comunicazione, tutto scorre fluido ed apprezzato. Ma se tutto si confondesse? Proprio come accade nella realtà: si pone un argomento e quello viene bandito contrapponendovi qualcosa di incompatibile, lesivo e disarmonizzante. Anche in questo caso la fine arriva in tutto il suo ledere.
Kyvadlo, jáma a nadeje (1983) è Il pozzo e il pendolo, seconda ispirazione dallo scrittore statunitense Poe. Probabilmente ciò che a gran parte dei lettori passava in mente alla lettura del racconto. Il surrealismo acquista tratti quasi realisti, tali da rendere infernale, allucinante ma nello stesso tempo materiale l'esperienza del protagonista. Poco spazio alle parole, molto al disperato sguardo in soggettiva. Il muro della tortura spaventa nella sua macchinosità ed animosità ma ciò che rimane più impresso è, anche questa volta, il finale. Allo spettatore non rimane che un interrogativo...
Do pivnice (1983). Prove generali per il suo prossimo lungometraggio (che analizzeremo dopo). Una piccola "Alice" vaga per metaforiche scale, fino ad un tetro scantinato frequentato da due inquietanti individui. Viaggio nell'inconscio infantile, con del simbolico carbone onnipresente. Riacquistare ciò che ci è appartenuto o forse narrare l'adattamento umano, cosa si intendeva dire con le coperte di combustibile nella camera dell'uomo e con i terribili dolci della signora, impastati con la stessa sostanza? Finale con la bambina che cerca, trova e vuole portar via qualcosa, dar vita alle sue esigenze e sogni... rappresentati da cosa? Semplici patate.
Muzné hry (1988) farà sorridere molti occidentali, siamo infatti nel mondo del pallone. I rituali del tifoso vissuti come una degenerazione: in un umile appartamento un appassionato si prepara alla serata calcistica armato di birre, dolci e TV. Ogni bicchiere scolato comanda ciò che succede sul terreno di gioco e i punti su quest'ultimo vengono segnati con le eliminazioni fisiche degli avversari nei modi più grotteschi. Tripudio di passo uno misto allo sguardo dell'attore principale. È semplice agonismo o è travisare uno sport? Alla fine il protagonista colpisce ancor più drasticamente, ma non se ne cura più di tanto...
Another Kind of Love (1988) esula un po' dal contesto, ma visto che la parte visiva è curata interamente dal nostro Jan va decisamente citato. È semplicemente un video musicale dell'inglese Hugh Cornwell che vanta canoniche animazioni “švankmajeriane”; veniamo così a scoprire che si adattano benissimo alla scanzonata pop song dell'autore e non solo a cupi ed anomali scenari.
Neko z Alenky (Alice, 1988). Eccoci all'esordiente lungometraggio. Un'interpretazione surrealista delle opere di Lewis Carroll Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò non è un qualcosa di impensabile, la natura stessa degli scritti si presta al pensiero ed al sogno. È la produzione più conosciuta nel mondo dell'autore ceco, forse proprio per la fama dei racconti ispiratori. Si inizia con un breve avvertimento recitato (quello del titolo del post, che ben descrive il genere che ci apprestiamo a metabolizzare) in stile fiaba, e a farlo è proprio la giovane protagonista, al di là delle scene, in cui le viene inquadrata soltanto la bocca. Sarà così per la descrizione di tutte le sequenze della pellicola, ma in modo molto ridotto, la parola lascia la maggior parte dello spazio all'elaborazione mentale. Il coniglio bianco, personaggio fondamentale del film, è una versione impagliata in una teca, che si anima, si veste, prende possesso delle forbici che userà spesso e va di fretta; necessario focalizzarsi sull'orologio da taschino che è contenuto all'interno del suo corpo, fra la segatura. Ad ogni occhiata lo tirerà fuori da lì e lo ripulirà, tutto a mostrare la lotta contro il tempo che ci corrode dall'interno, e ci rende ad essa dipendenti. Importante anche il modo di spostarsi, come nell’originale, da un luogo all'altro: tramite cassetti di vecchi mobili, porte per la dimensione onirica.
Alice inizia la sua avventura da quella che sembra essere la sua stanza, ma si recherà presto, inseguendo il coniglio, in un ambiente essenziale e spoglio, non solo grazie al metodo espresso poc'anzi, ma anche tramite un infernale (sembra proprio si stia scendendo in esso) ascensore, che pare ripercorrere le precedenti opere di Jan ed anche ciò che verrà in seguito. Qui troveremo le azioni famose del racconto, il cambio di dimensione della bambina ed i modi per avviarlo, sotto l'occhio surrealista che immagina come bambolina la versione piccola ed inchiostro o strani biscotti il mezzo per far scaturire il tutto. Tramite il pianto rotto di Alice tutto si allagherà e lo scenario si sposterà alla casa di mattoncini del tassidermico coniglio, dove la bimba subirà un attacco di particolarissime creature scheletriche e vagamente animalesche.
Continuano poi i cambi di capitoli, e le chiavi (anche materialmente presenti) per farlo saranno sempre inusuali e difficoltose da trovare; serve una spinta per riversarsi nel sogno e nella fantasia, dal mondo materiale... Le suddette chiavi saranno nascoste in scatole di sardine, ai margini di tavoli e confuse nel mezzo di sgabuzzini ricchi di anomalo cibo ed oggettistica disgustante. Basta anche un solo fotogramma a far rievocare i rapporti costanti Švankmajer/oggetti e Švankmajer/cibo, veri feticismi cerebrali con cui il nostro ha cementato un'intera produzione sotto il segno magico del trasferimento delle emozioni umane verso cose inanimate. Anche l'incontro con il Bruco di Carroll è segnato da ciò, questi è un calzino con occhi di cristallo e dentiera, ed il fungo che donerà è di semplice legno. Materiale da cucina presente e lanciato verso Alice anche nella casa da cui vengono fuori il luccio e la rana valletti, che portano l'invito della Regina alla ragazzina.
Arriviamo così all'incontro con il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina, inscenati in forma di marionetta e pupazzo a corda. Altra caratterizzazione surrealista del brano del racconto, da notare come la Lepre cosparge di burro un orologio, questa volta l'ossessione alimentare e quella oggettistica si uniscono. Per il resto vengono riprese famose frasi del racconto inglese.
La parte finale racchiude tutti i personaggi e richiama tutte le proposte precedenti, nella stessa forma o in altra: il reali sono di cartone, i soldati emergono dalle carte, Cappellaio e Lepre giocano a tavolino con orologi indosso, materia quotidiana come dei puntaspilli si trasformano in ricci, le forbici del coniglio servono per decapitare e il processo a carico della bambina verte attorno ai famigerati biscotti usati per il cambio dimensionale.
Nel termine si ritorna alla camera iniziale, dove sono curiosamente presenti tutti i dettagli del film, ma in forma materialistica: i pupazzi , bambole, le carte sono in un angolo, c'è qualcosa in un cestino e i biscotti sono in un piatto sul tavolo... All'appello manca solo la lepre imbalsamata... Sogno o realtà? Unione fra le due cose?
Tma/Svetlo/Tma (Oscurità/luce/oscurità, 1989) è un altro caposaldo imitato ed affermato. Sembra quasi una critica al corpo umano, così magnificato ma anche così caotico, misterioso ed animalesco. Vari parti anatomiche ed organiche tentano il ricongiungimento in una fin troppo stretta stanza( la propria esistenza è sempre rinchiusa?) nel tentativo di formare un corpo di tal nome. I più peperini sono la bocca e la lingua ed il più violento ed affannoso è ovviamente il membro; come ovvio basta una simbolica spruzzata d'acqua per raffreddare i bollori. La vita è un interruttore, alla sua nascita si accende ed alla consapevolezza di arrivo si può spegnere, ma il traguardo può essere stato non raggiunto.
Meat Love (1989) è una breve produzione UK/USA/Germania sfoggiante due vanitose bistecche che tentano l'approccio, e nel momento in cui riescono nell'intento sono pronte all'impanatura e cottura. Non c'è altro da dire...
Flora (1989) è la sua opera più corta. 31 secondi di animazione prodotti negli Stati Uniti, con un "uomo vegetale" che si disgrega senza poter raggiungere un vicino bicchier d'acqua. Ancora visione pessimistica del corpo/mente. Quasi un bumper.
Ci sarebbe anche Animated Self-Portraits (1989), ma preferiamo sorvolare perché è una creazione di vari maestri dell'animazione mondiali, oltre Jan, quindi non contestualizzata all'analisi.