OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

domenica 30 gennaio 2011

cupidigia

雨月物語 (Ugetsu monogatari)
(I racconti della luna pallida d'agosto)
1953
Giappone
Regia: Kenji Mizoguchi
Soggetto: Akinari Ueda
Sceneggiatura: Kyûchi Tsuji, Matsutarō Kawaguchi, Yoshikata Yoda

Provincia di Omi, nei pressi del lago Biwa, XVI secolo: gente di campagna impegnata in mansioni quotidiane, dedita ad umili lavori, ma con il perenne timore delle ripercussioni degli eserciti impegnati nella guerra civile. Genjurô e To^bei vivono degnamente con le rispettive mogli, ma non sono soddisfatti, cercano qualcosa in più: il primo, goffo e irresponsabile, vuole diventare samurai, il secondo arricchirsi, amplificare il suo lavoro all'eccesso. Come i racconti originali di Akinari Ueda ci insegnano, finiranno nei guai, specialmente Genjurô, risucchiato da spirali sovrannaturali, affascinanti quanto temibili.
Leone d'Argento al festival di Venezia del 1953, più altre vittorie e nomination, perla della produzione di Mizoguchi. Atmosfera artisticamente soffusa, naturale, che entra man mano nella dimensione onirica e spirituale, la terra lascia il posto all'anima. Ponte di questo passaggio è una fantastica sequenza in barca sul lago, proprio come un eco a Caronte, dove la percezione di realismo si offusca, tra fumi, campi medi e figure intere. Dimunuisce anche l'intendimento dello spazio, il lavoro fotografico di Kazuo Miyagawa è magistrale. La seconda parte, con la bellissima ed eterea Lady Wakasa, interpretata da Machiko Kyō, ricorda la storia La riconciliazione di Lafcadio Hearn, proposta in modo simile nel sublime Kwaidan, una decina d'anni più tardi.
Tadaoto Kainosho e Shima Yoshizane hanno il merito dei magnifici costumi, valorizzati ancora di più dal bianco e nero della pellicola, e vestiti con classe innata sia dalla popolana moglie di Genjurô, che dall'aristocratica Lady Wakasa.
Fondamentali anche i suoni appena percettibili, le musiche tradizionali e i lungi silenzi, contorno quasi obbligato per un film così meditativo.

giovedì 13 gennaio 2011

pioggia e sorrisi

狂った一頁 (Kurutta ippêji)
1926
Giappone
Regia: Teinosuke Kinugasa
Soggetto:Yasunari Kawabata
Sceneggiatura: Yasunari Kawabata, Teinosuke Kinugasa, Minoru Inuzuka

Pellicola indispensabile se si vuole avere un quadro sufficiente delle avanguardie cinematografiche diffuse per il mondo, e questa vale in rappresentanza della terra nipponica. Figlia del movimento Shinkankakuha, tradotto come neopercezionismo o neosenzazionalismo, fra le cui schiere era presente Yasunari Kawabata, il noto premio Nobel per la letteratura, soggettista e sceneggiatore dell'opera insieme a Kinugasa stesso e Minoru Inuzuka.
Purtroppo possiamo bearci soltanto di un'ora di film, frutto di un rimontaggio avvenuto dopo un fortunoso ritrovamento nel 1971, e probabilmente parte della comprensibilità è venuta meno. Non è però solo questo a rendere ostica l'assimilazione, ci troviamo di fronte al caso di un film senza didascalie (ispirazione in tal senso possibile da L'ultima risata di Murnau, apprezzato dal regista), al tempo sopperite dall'interpretazione di un benshi, un narratore presente in carne ed ossa. L'impedimento può però trasformarsi in modalità di lettura, creando una sorta di empatia visiva, una trasmissione del senso puramente emozionale, non narrativa, che si confà al volere emotivo dello Shinkankakuha; d'altronde la natura tecnica del film si presta a questa alternativa estrema, essendo un vortice virtuoso, fatto di distorsioni, montaggio accelerato, campi particolari, montaggio alternato e soprattutto sovrimpressioni, tutto utile a creare un'atmosfera onirica, mnemonica e dell'immaginazione. Si è usata gran parte delle tecniche disponibili al tempo, viste anche in film francesi arrivati sul posto, cosa non consolidata nel Giappone di allora, più avvezzo a stilemi realisti. Curiosa la somiglianza anche con le favolose tecniche del cinema sovietico, che Kinugasa avrebbe conosciuto, apprezzando tanto alcuni autori, dopo l'ultimazione di Kurutta... Menzione anche per i titoli iniziali, poeticamente sublimi.
È però con un apporto narrativo che l'opera dà il meglio, tale da aiutarci a capire tratti sfuggenti della storia. Questa descrive la vita in un ospedale psichiatrico, con protagonisti il custode e sua moglie, rinchiusa nella struttura a causa di una passata azione sconsiderata. Personaggi salienti sono anche la figlia della coppia ed il suo compagno, e non meno lo sono gli altri ricoverati, in particolare la vicina di cella della donna, che esternerà le sue emozioni ballando freneticamente per quasi tutta la durata. Sarà proprio lei a dare il via alla sequenza principe, dove i folli si ribelleranno e leggeranno il mondo attraverso il suo corpo. Sottofondo sarà un'ossessiva e martellante musica, allo stesso modo presente nel resto del lavoro, utilizzata più recentemente e in vece dell'accompagnamento originale. Magnifico il finale, dove il protagonista donerà a se stesso, alla sua donna e ai pazienti delle maschere da teatro , tutte sorridenti, che libereranno ognuno facendo da scudo alla cattiva realtà, per esorcizzarla e far finalmente venir fuori la serenità.
In Italia è noto come Una pagina di follia.

giovedì 6 gennaio 2011

cartoline da Albione

Sguardo su altre pellicole dell'inglese Jason Impey, filmaker indipendente già trattato precedentemente qui. Sono tutti lungometraggi di durata canonica, compresa l'ultima fatica di recentissima uscita.

Sick Bastard
2006

Regno Unito

Regia: Jason Impey

Scritto: Jason Impey


Acerbo e "vecchio" film, di quando Impey ancora non si avvaleva dei suoi più fidati collaboratori. Ci ha colpito non per la trama, un po' scontata, ma per una buona messa in scena, con inquadrature (Natalie Pledger e Jason sono i camera operators) ricercate e ben amalgamate, grazie ad un montaggio di tutto rispetto. Azzeccato anche l'uso del ralenti.
Il plot parla di un maniaco, con tanto di trauma infantile, evaso dalla struttura di detenzione, e dedito a falciare brutalmente chiunque trovi sulla sua strada. Evidente l'ispirazione dal primo capitolo di Violent Shit di Andreas Schnass, soprattutto per quanto riguarda la modalità di esecuzione degli omicidi. Fumettoso l'uso di effetti sonori sopra le righe.

Troubled
2007

Regno Unito

Regia: Jason Impey

Scritto: Jason Impey


Oniricamente complesso, anomalo rispetto al resto della filmografia di Impey. Bisogna dire che la realizzazione era di estrema difficoltà, ma ne è venuto fuori qualcosa di sufficiente per quanto riguarda l'amatoriale. I protagonisti, Nick Stoppani e Julie Gilmour, fanno del loro meglio per tratteggiare dei personaggi affetti da problemi, dalle vite particolari e ricche di sfaccettature. Nonostante la tristezza del tema permane una certa delicatezza di fondo, che trasmette un senso di comprensione per delle vite tutt'altro che serene.
Forse c'è qualche sequenza eccessivamente tirata per le lunghe, ma è pur vero che la trama prevedeva dilatate ossessioni.
Un messaggio ad inizio pellicola avverte lo spettatore che sono state seguite alcune regole del Dogma 95, ed effettivamente , nonostante alcune trasgressioni comunque accertate anche nei film mainstream della succitata corrente, non vi sono eccessi scenici.

Psychopaths
2010

Regno Unito

Regia: Jason Impey
Scritto: Joe Newton


Psychopaths è una riedizione del precedente Tortured AKA Sex Slave, con ampliamento di trama. Un exploitation di scia tarantiniana, duro e violento, che non lesina neanche in nudità e sesso estremo (plauso in merito a Michele Young). Presenti anche gli espedienti retro di pellicola rovinata e parti mancanti. Forte accento sulle presenze femminili, come un certo "grindhouse style" insegna...
Riproposto anche il fantastico score musicale di Greg Stanina.

The Turning
2010

Regno Unito

Regia: Jason Impey

Scritto: Jason Impey


È l'ultima produzione, un drammatico horror con echi di altri generi. Regia di Jason, produzione di Kemal Yildirim, il sodalizio continua e qui si spartiscono anche la torta della fotografia e della presenza in scena. Molto frenetico, ricco di sequenze di pura action, alternate alle firme "jasoniane": dialoghi dilatati e curati e lunghe sequenze in auto. Potenti le interpretazioni di Rami Hilmi e Yildirim, che curano anche le coreografie degli scontri fisici, e buono il contributo di Lianne Robertson, che mantiene una resa tragica per tutta la durata.
Il film decreta una evoluzione nel campo degli effetti speciali, ad opera di Jenny Buckland e Becky Stone, più professionali rispetto al passato. Ad amplificare l'impostazione action spadroneggia la camera a mano, una scelta coraggiosa che però potrebbe infastidire i cultori di campi più meditativi. A proposito di stili di ripresa segnaliamo anche un discreta carrellata a precedere, un lungo piano sequenza per le via di una città.
Sorpresa finale citazionista!

lunedì 3 gennaio 2011

Charles McCrann

Bloodeaters
(Il ritorno degli zombi)
1980
Stati Uniti d'America
Regia: Charles McCrann
Scritto: Charles McCrann

Altro estratto dal largo panorama dell'exploitation, di quella sfornata appena entrati nel decennio Ottanta.
McCrann, al timone della sua unica opera, ne cura, oltre a regia e scrittura, anche montaggio e produzione, in più impersona il protagonista.
La trama pare ricalcare quella branca del genere pervasa da uno spirito reazionario, con gli hippie visti come un estremo male, dediti a cattiverie e malefatte di ogni tipo. Però non è tutto, c'è anche spazio per critiche al sistema, alla direzione di Washington disinteressata alle zone più remote degli States, a soggetti federali arroganti ed incompetenti, che non si fanno alcun problema ad adottare soluzioni estreme irte di conseguenze negative. Proprio queste particolarità rendono la pellicola diversa da quelle del filone di su, maggiormente diffuse nei seventies.
Si parla di un gruppo di "giovinastri" coltivatori abusivi di marijuana, e della scelta governativa di risolvere il problema irrorando il luogo con una poco sperimentata sostanza chimica atta a distruggere il raccolto; chiunque si trovi a diretto contatto con essa subirà una mutazione simile alla "zombizzazione", ma è più giusto definirla un contagio, visto che le persone paiono non passare per lo stadio di cadavere.
Fra una evidente approssimazione generale scorrono anche diverse strizzate d'occhio ad altre opere: agli assedi claustrofobici degli zombi romeriani, al personaggio dell'eremita de La moglie di Frankenstein, fino alle situazioni da film con "hillbilly" o à la Un tranquillo week-end di paura.
Gli attori, quasi tutti alla loro unica presenza sulle scene, si aggirano per ambienti boschivi e strutture minimali inneggianti al risparmio, arrangiandosi nell'interpretazione. In più l'illuminazione scarseggia nelle sequenze notturne, ne consegue una interpretazione difficile di ciò che succede in scena. Non mancano ironie involontarie e dialoghi da punto interrogativo, ma siamo comunque su livelli superiori rispetto a molto altro, anche per quanto riguarda il make up e gli effetti, coadiuvati da furbe scelte di montaggio.
Gradita l'ossessiva musichetta, tipicamente "grindhouse".
La pellicola fu inserita nella controversa lista dei "video nasty", sorta di censura per l'home video presente nel Regno Unito, anche se la violenza contenuta non è di grado elevatissimo.

domenica 2 gennaio 2011

Rapporto Confidenziale


Presento Rapporto Confidenziale, curata rivista digitale di cinema, che si connota per un occhio di riguardo verso una cinematografia poco diffusa, sopita, che non beneficia di distribuzione o a cui non viene riservata grande attenzione; tutto ciò pur non disdegnando attenzione verso cult e classici di ogni epoca. Di grande interesse e molto varia la forma delle informazioni: vi si possono trovare analisi critiche, agenda di eventi (anche organizzazione di alcuni), segnalazioni di DVD e libri, interviste, news varie e tanto altro.

Esce ogni mese ed è realizzata dall'associazione culturale ARKADIN; scaricabile gratuitamente, ma il lettore può decidere per una donazione utile a coprire le spese di gestione.
Nell'ultimo numero, di dicembre/gennaio, c'è anche un mio articolo su Robert Morgan, realizzatore di cortometraggi horror di grande effetto.