OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

giovedì 28 luglio 2011

pneumatico o rullo?

Rubber
2010

Francia, Angola

Regia: Quentin Dupieux

Scritto: Quentin Dupieux


La Francia, nella produzione di genere, è avanti a noi, alla faccia di vini, Zidane e qualunquismi.
Il regalo che ci offre è un esperimento di metacinema piuttosto estemporaneo, dove seguiremo le gesta di uno pneumatico, proprio così, uno pneumatico, che vaga per sterminate strade californiane, mietendo vittime grazie ai suoi poteri telecinetici ed inseguendo ossessivamente una ragazza, con la polizia alle calcagna.
Seguiremo non solo noi dai nostri schermi, in campo c'è anche un nugolo di spettatori con tanto di binocolo e frasario tipico da sala di proiezione, personaggio e burattinaio indiretto dell'azione, in quanto la sua presenza è l'unico motivo per cui il tutto va avanti; il cinema senza pubblico non ha motivo di esistere, e la cosa è resa nota anche dalla coscienza di fiction più volte mostrata. Spettatori che però subiscono a loro volta le volontà del business, una volta che hanno assicurato la loro presenza, pagato per avere e per vedere (senza posti a sedere, distrutti all'inizio, come un "fast cinema" da consumare velocemente) possono anche venir meno, in Rubber vengono quindi avvelenati. Tranne uno, il tipico spettatore attento, molto attento, troppo, pignolo a tal punto da non accettare dettagli illogici, omaggiati a dismisura nel film, come giustamente ci dice il poliziotto nel prologo. Verrà ucciso non dal business, ma dalla stessa arte cinematografica, nella forma dello pneumatico. La non logica che pervade tutta la pellicola strizza l'occhio alla serie B e all'exploitation, notare anche la locandina dal fascino vintage: il perché la gomma prenda consapevolezza di sé come in un documentario, insegua la donna, uccida senza ritegno non ci viene spiegato, ma è realizzato gran bene, con pregevole uso del dettaglio e di profondità di campo e sfocature, oltretutto tutto girato con una camera digitale e un budget complessivo non esagerato. Simpatici anche gli stereotipi buttati volutamente qua e là, i topoi e luoghi culto; c'è da dire che sembra in tutto e per tutto una produzione a stelle a strisce.
Se la settima arte ha preso forma nello pneumatico, poi in un triciclo e in altre gomme, è normale che, come succede nel finale, puntino verso Hollywood.
Auguriamo fortuna a Quentin Dupieux, musicista da poco anche nel mondo del cinema che conta.

lunedì 25 luglio 2011

l'allucinante riparo

La maison ensorcelée
1908
Francia
Regia: Segundo de Chomón
Scritto: Segundo de Chomón

Continuiamo il discorso incentrato attorno all'anno 1900 per proporre un'altra opera di Chomón, noto pioniere della settima arte e già descritto in un precedente post.
Il comparto formale che gravita attorno al tema della casa infestata, peraltro qui ancora fresco cinematograficamente, è superbo, il maestro degli effetti stupisce per cura di tutti i dettagli, è una festa visiva altamente divertente. Onnipresente il montaggio in camera usato per le apparizioni e sparizioni, idem i mascherini e le sovrimpressioni, tutto ben messo. È però nell'uso del passo uno o scatto singolo, come viene chiamato in questi casi, che il lavoro colpisce: sembra di trovarsi di fronte una pellicola di Švankmajer, non è errato affermare che la sequenza del pranzo, dove il trick trova il suo apice, non sfigura nemmeno ai giorni nostri. Che dire poi dell'onirico finale? La presenza che aleggia sulla magione chiude in bellezza, e fa da antenata a tutte le generazioni del filone "haunted house" che verranno nel secolo ed oltre. La nostra mente di appassionati è volata verso un titolo giapponese, possibile ispiratore dell'Evil Dead di Raimi, Hausu, anch'esso affogato in un mare di fantasie visive e permeato da una certa vena buffa.
Gli attori sfoggiano un make up da clown, piacevole nota comica in un clima tetro, che seppur attualmente grottesco, al tempo poteva aver possibilità di arrecare inquietudine.
La copia visionata è presente al Nederlands Filmmuseum di Amsterdam.

venerdì 22 luglio 2011

sotto mentite spoglie

Le diable au convent
1899

Francia

Regia: Georges Méliès


Pezzo del filone con presenze demoniache, che in questo caso infestano un convento e creano una mistura di sacro e profano.
Si connota per il forte uso della scenografia di stampo teatrale, ricchissima e anche interattiva, non facendo solo da mero sfondo pitturato. Rilevanti anche gli attori in scena, molto numerosi, fra cui lo stesso Méliès. Trucchi, le famose "fantasmagorie", realizzati tramite la famosa interruzione della ripresa, tecnica antesignana del montaggio.
Happy end iconografico!

mercoledì 20 luglio 2011

teletotalitarismo

La antena
2007
Argentina
Regia: Esteban Sapir

Soggetto: Esteban Sapir

Sceneggiatura: Esteban Sapir


Favola distopica che è una boccata d'aria nel panorama fantascientifico del primo decennio del Duemila, pur pescando ottimamente fra fior di classici, omaggiati e riproposti con viva personalità, brilla di luce propria.
Il tema è quello di un città imprecisata, in un tempo non definito ma simile agli anni Venti e Trenta, schiacciata sotto un regime totalitario, talmente forte da essersi appropriato della voce degli abitanti. Essi sono controllati dallo strapotere della comunicazione televisiva, gestita tramite un "cervello" ed elementi di retro tecnologia, con una simbologia opprimente presente un po' dappertutto, addirittura anche nell'unico cibo disponibile, l'esplicativo "Alimentos TV"; unico svago rimangono la boxe e degli spettacoli canori. La star di questi ultimi è "La Voz", unica persona, insieme al figlio, ad essere ancora in possesso della propria voce, sfruttata dapprima come elemento di distrazione, poi, abbinata ad una macchina speciale, per giungere ad un nuovo passo di oppressione... Sarà un tecnico riparatore TV, con sua figlia, la sua ex moglie ed il figlio di La Voz a dover fronteggiare la minaccia, combattendo sullo stesso piano scientifico.
Sperimentale oggetto centrale del film sono i sottotitoli, anche se è riduttivo chiamarli così, sono infatti una vera presenza attoriale che si muove secondo il contesto: "recitano", vivono quasi di vita propria, partecipando all'azione ed amplificano concetti ed emozioni. Sono ovviamente l'unico modo per permettere ai muti personaggi di esprimersi, la comprensione reciproca avviene tramite labiale o vera e propria presenza materiale diegetica degli stessi, che diventa un'estensione della loro mente.
La sperimentazione non finisce qui, e sono evidenti i rimandi all'espressionismo tedesco, così come al Kammerspiel, ai drammatici e ai sentimentali fra le due guerre mondiali, con tanto di musica da grammofono, e al muto in genere. Pullulano i riferimenti alla sci-fi di molti periodi, con Metropolis e 1984 dinanzi tutti. Simpatico l'ammiccare a Viaggio nella Luna e Viaggio attraverso l'impossibile, da segnalare i tocchi di estetica sovietica.
C'è da dire che Sapir ha iniziato la carriera e l'ha impegnata essenzialmente come direttore della fotografia, e la cura posta al comparto visivo è notevole. Il film è in un bianco e nero livido, non molto contrastato, ed è stata data gran importanza ad ombre e sagome in controluce, vieppiù alla composizione dell'immagine, che comprende nei suoi spazi i già citati sottotitoli.
La distopia di una tirannia che manipola le coscienze tramite i media ed il consumismo, privando di altro, continua a turbare le coscienze.

mercoledì 13 luglio 2011

3:25

Paris qui dort
(
Parigi che dorme)
1925

Francia
Regia: René Clair

Soggetto: René Clair

Sceneggiatura: René Clair


È il secondo film scritto e diretto dal cineasta-bandiera Clair, dopo l'esperimento dadaista Intermezzo, dell'anno precedente, mentre, come attore ed assistente alla regia, aveva iniziato qualche tempo prima.
Nonostante i picchi della sua carriera siano stati raggiunti con la commedia, in questo cortometraggio di una mezz'ora si affonda pienamente nella fantascienza, a rimarcare la personaità eclettica dell'autore, mai banale, mai corso dietro al momento cronologico, cosa che a fine carriera peserà, sentendosi fuori posto.
Plot: l'armoniosa Parigi, normalmente affaccendata in mansioni quotidiane, viene "freezata" dall'esperimento di uno scienziato che, tramite un raggio, ha diffuso un sonno permanente in tutta la città, e, come si scoprirà, in tutto il mondo. Rimasti immuni soltanto quelli che si trovavano al di sopra del raggio, a ragguardevole altezza: oltre al professore e a sua nipote, il guardiano della Torre Eiffel e un gruppo in volo su un aereo. Inizialmente regnano desolazione e sconcerto, che poi si trasformano in cupidigia: un'intera città a disposizione! Ma una volta assaporato il materialismo cosa rimane? Freddezza, mancanza di larghi rapporti umani, la noia, ciò che il denaro resosi disponibile non può comprare. Sembra di trovarsi di fronte ad un film catastrofico, ad un episodio di Ai confini della realtà incentrato sulla sparizione della razza umana, tutto abilmente reso da una scena tatticamente spopolata e fotogrammi fissi, probabilmente vere e proprie fotografie o cartoline riprese e montate. Con uno slancio coraggioso Clair fa anche pesare la presenza di una sola donna, occupante dell'aereo, pre-incontro con la nipote del prof., una bellissima e "pariginissima" Madeleine Rodrigue, che non può non stuzzicare gli appetiti degli altri uomini svegli. In proposito citiamo una breve scena, dove il suo viso voluttuoso è l'unica cosa visibile di un'inquadrata in realtà più larga, come se sul resto fosse stato applicato un mascherino; possibile censura, dietro ci saranno stati gli altri personaggi, evidente riferimento alla soluzione di una concessione multipla. Nella parte finale spocchia e bramosia si fanno più forti, ma l'epilogo è dei più romantici.
Un'opera, seppur non virtuosa tecnicamente, il montaggio è infatti analitico, precorritrice, che fonde lo sci-fi più tecnico con la dolcezza di un sentimentale e lo slancio di una commedia.

sabato 9 luglio 2011

buchi, discese e pareti

Le puits et le pendule
1964

Francia

Regia: Alexandre Astruc

Soggetto: Edgar Allan Poe

Sceneggiatura: Alexandre Astruc


Esempio che dimostra la qualità delle produzioni televisive di qualche decennio fa, meritevoli non solo nel Bel Paese, ma anche in altre zone d'Europa, in questo caso parliamo di Francia, con la Radio-Télévision Française (RTF).
Le trasposizioni filmiche di Poe sono centinaia, versioni de Il pozzo e il pendolo sono nate più volte, con quella di Roger Corman (1961) a fare la parte del leone; questo mediometraggio, però, non ne esce sconfitto, e punta tutto sulla massima fedeltà. Complice d'essa è la presenza di narratore omodiegetico, il protagonista, proprio come nel racconto, e le parole sono le stesse del testo, riportate sotto forma di pensiero.
Senza scendere nel dettaglio di una trama generalmente conosciuta, notiamo come la prima parte, quella del prigioniero trasportato nell'antro di tortura, fa un uso pregevole di carrellate, proprio dove i movimenti materiali e i differenti stati emozionali sono più accentuati, mentre nella seconda, quando la vittima è segregata, Astruc si sbizzarrisce con i campi fissi, tanto a testimoniare l'immobilità, quanto la variazione di pensieri. Poi, personalmente, leghiamo il bianco e nero alle atmosfere "poeniane" maggiormente del colore e, nota curiosa, la narrazione in francese non stona, causa l'uso abbastanza intenso che l'autore di Boston faceva di quella lingua.
Musiche e canti apparentemente liturgici (di Antoine Duhamel) e suoni ben in evidenza, rimbombanti come nella mente del personaggio, fanno da cornice ad un lavoro pulito, adatto a dar l'idea del mondo dello scrittore. Il regista tornerà nuovamente su di lui con Histoires extraordinaires: La chute de la maison Usher, sempre per la TV, nel 1981.

lunedì 4 luglio 2011

la mostruosa muraglia

Spettri e fantasmi cinesi
Autori vari

Theoria


Particolare è l'approccio, nella cultura cinese, alle creature sovrannaturali, così come le loro caratteristiche. La vita di chi ha a che fare con loro è sì scossa, ma la reazione è quasi sempre pronta, molte volte si riesce a gestirli e spesso anche a dominarli, vengono resi paradossalmente quotidiani. La catalogazione di essi si perde nelle nebbie dei millenni, i dati provengono da enciclopedie, dizionari imperiali, dagli storici, dai filosofi, nonché è il vento delle religioni a proiettarli verso il futuro. Il libro, a cura di Giorgio Casacchia e Patrizia Dadò, riesce a fare un certo ordine almeno entro i ristretti termini che vuole trattare, dividendo le creature per tipo: gli yaksha, sorta di orchi, gli "esseri pelosi", simili allo Yeti, gli spettri, i genî dei monti e dei boschi, demoni generati dalla natura, e le apparizioni femminili. Molti degli autori non suoneranno nuovi a chi ha un minimo di dimestichezza con la cultura cinese; svettano Feng Meng-lung e Yuan Mei, poi c'è P'u Sung-ling, ricordato anche qui, tutti e tre vissuti fra il 1500 ed il 1700, ma ve ne sono anche di più antichi e più recenti.
I racconti sono più che altro degli aneddoti, molto molto brevi, occupano spesso due o tre pagine, o anche meno, e vanno subito al dunque.
Nella prima tranche gli Yaksha vengono scacciati dall'uomo, bastonati, ma in Messer Chang, di Ch'ang-an l'essere ha una accezione positiva e riesce a far catturare dei briganti assassini.
Fra gli essere pelosi, invece, i "buoni" sono nella metà degli scritti, e presenziano in La donna pelosa, L'uomo peloso e L'essere peloso di Kuan-tang usa l'uomo come esca; nel primo l'amore trionfa anche fra "diversi", negli altri due le entità aiutano gli umani.
Più lunga e complessa la sezione sugli spettri e bellissimi sono due racconti: L'antro degli spettri e Storia di tre spiriti maligni di Lo-yang. L'impiccagione dello spettro è molto vicino a certe leggende a noi più chiare, con la creatura che non trova pace e ripete un gesto terreno. Fra gli altri riescono ad essere protagonisti anche latrine, e in uno un fantasma viene curato da un medico, evidente segno di accettazione da parte dell'uomo, senza isterismi di sorta.
I demoni della quarta sezione portano siccità e malattie, ma sanno anche scrivere e deliziarsi con la musica, altresì essere sensuali.
Nell'ultimo raggruppamento ci sono le donne, donne che nello stato di trapassate riescono ad imporsi, cosa che non riusciva in vita causa status inferiore imposto dalla società. Si vendicano e seducono (nell'egregio Lady Ventidue), assumono la tipica sembianza, nell'ambito cinese, di volpe e perpetrano violenza. Solo in un racconto, Il fantasma fritto nell'olio, l'entità femminile viene sottomessa ed eliminata.
Volume ottimo, con storie difficilmente reperibili altrove e buono per farsi un'idea su quel tipo di leggende. Appartiene alla collana di Theoria Biblioteca di letteratura fantastica, e con un po' di attenzione è reperibile in librerie fornite di testi non più ristampati, bancarelle e similari.

venerdì 1 luglio 2011

inserto

i
2007

Regno Unito
Regia: Luke Losey

Scritto:
Luke Losey

Occhio sulle espressioni propone un corto dove è protagonista un occhio umano, attore unico.
Completa dedizione al dettaglio, luci, rumori fuori campo e... basta, tutto qui, e ne è venuto fuori un thriller altamente emotivo. Ci ha messo del suo anche la pupilla e il naturale sistema neurovegetativo, tocco di autentica naturalezza in fiction.
Un omaggio all'organo tanto considerato da cineasti di ogni sorta, specchio dell'anima e rappresentante d'emozioni.