OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

sabato 31 marzo 2012

la fontana della vergine

Jungfrau am Abgrund
1990
Austria, Germania Ovest
Regia: Carl Andersen
Scritto: Carl Andersen

Quindici anni e il tunnel della sessualità iniziante con quel morboso bagno di sangue cosiddetto "naturale", quel cambiamento che genera tormento, al futuro scopo di creare, in tanti casi, altra sofferenza. L'assaggio iniziale è fatale, il turbine di vizi, sperimentazioni e viaggi mentali è profondo; che sia un qualcosa di materialmente vicino alla sessualità o che non c'entri nulla, lei elabora oramai a fine unico, tutto è erotico, sanguignamente animalesco o "artistico", ma sempre carnale. Uomini, donne, etero, gay, lesbiche, tante sono le vie percorse dalle sue sinapsi, con tanto di retrogusto simbolico o allegoricamente violento, in maniera ancor più forte quando subentrerà la scoperta della contessa Báthory, e da lì il nutrimento di inizio storia prenderà la strada di vene e capillari, e via di sangue e sperma per soddisfazione. 
La musica e il suono di tali Model d'oo accompagna in maniera ossessiva questi pensieri, aumentandoli di peso e rendendoli più perversi; bianco e nero, perché tale è la visione del mondo, se non ancora più ridotta, e sperimentalismo di fine anni Ottanta.
Fra lame, spuntoni e falli resi indipendenti arriverà la resa dei conti, probabilmente libertina, ma chissà...
Conosciuto anche come: Mondo Weirdo e Virgin on the Edge.
                  «dedicato a Jess Franco e Jean-Luc Godard»

sabato 24 marzo 2012

il pasto oculare

Peeping Tom
1897
Stati Uniti d'America

Quante forme può assumere quel buco della serratura dove poniamo l'occhio per nutrirci degli altrui affari!
Il voyeurismo è sempre stato un punto fermo nella psiche umana, nonché meccanica per scoprire cosa si cela dietro le maschere della quotidianità. Molteplici orpelli materiali e morali ci racchiudono in un sarcofago ad uso e consumo del prossimo, che tiene nascosta la nostra natura.
Dall'occhiata furtiva al vicino di casa si è passati alla conservazione del tutto, poi l'era moderna, con la TV che si erge a spada del diritto di cronaca per mostrare orrore reale da dare in pasto ad annoiati bigotti o a persone inconsapevoli e di buon senso, però violentate da quel turbine.
Poi arrivò il mondo bianco e blu, sicuramente evoluzione di altri media, ma potente nel campo della "serratura" come non mai, e via di vittime che poi spargono al vento favelle quali: "io? no, io no, io sono di quelli bravi".
Dov'è la genuina curiosità?

domenica 18 marzo 2012

il fiume dell'attesa

นางนาก (Nang nak)
1999
Thailandia
Regia: Nonzee Nimibutr
Scritto: Wisit Sasanatieng

Una guerra qualsiasi del XIX secolo, non è importante sapere quale, si tratta sempre di bastardo imperialismo che manda al macero milioni e milioni di pedine, che disintegra legami, tutto per il volere di pochi. Essa però non ha potuto distruggere un qualcosa di ancora più potente: l'amore di una moglie fedele. È un sentimento talmente vigoroso da essere immortale, e se sarà destinato a spirare rimarrà comunque nell'animo di chi verrà dopo e lo farà rivivere.
Film nato dall'utero di una leggenda locale, simile a quella presentata in La riconciliazione, di Lafcadio Hearn, e poi anche nell'episodio Kurokami dello splendido Kaidan (1964), fa dell'estremo splendore degli scenari il suo punto forte. Una Thailandia, al tempo della vicenda chiamata ancora Siam, magica, dove brilla una natura incontaminata: poesia di verde e marrone, notti che brillano di un blu elettrico profondissimo.
Quasi a non voler violare questo incanto i dialoghi sono ridotti all'osso, predominati dai due protagonisti che si chiamano soltanto per nome, Nak, Mak; quando sono in ballo certe forze, è inutile "spiegarsi". Lei è Intira Jaroenpura, bellissima, dolcissima e sensualissima, lui è il bravo Winai Kraibutr.
Appuntiamoci il nome di Nonzee Nimibutr, ma anche quelli del direttore della fotografia, Nattawut Kittikhun, e dei musicisti Chatchai Pongprapaphan e Pakkawat Vaiyavit, che hanno creato una sonorità adatta, in maggior parte placida come lo scorrere di un corso d'acqua. Acqua che nel film è vita, ma anche consapevolezza, e il fuoco fine, ma anche coda che si perde nell'infinito.

giovedì 15 marzo 2012

entro cortina

Verso Vertov
1991
Italia
Regia: Daniele Ciprì, Franco Maresco
Scritto: Daniele Ciprì, Franco Maresco

L'immobilità della periferia siciliana si avvicina alle titaniche immensità sovietiche.
Francesco Tirone, Paolo Giordano, Marcello Miranda e Giovanni Lo Giudice alfieri e come naturali estensioni di un grigiore popolare e industriale, all'occorrenza diventano statue dall'odore di propaganda, che però assurgono ad un ruolo opposto, sminuente; presenzia il guardare all'orizzonte, ma questi è lì vicino, fra le macerie materiali e morali.
Sulle pareti i nomi dell città: Agrigento, Sciacca, Trapani, diventano novelle repubbliche dell'ex URSS.
Alle immagini veloci, quanto quelle del grande Dziga, si alterna la passività, che non è esaltazione ma rinuncia, e a nulla possono i suoni fuori campo, se non ad amplificare il tutto.

sabato 10 marzo 2012

are we not men?

The Island of Dr. Moreau
(L'isola del Dr. Moreau)
Herbert George Wells
Newton Compton Editori

Ce lo insegnava anche Leopardi: il mondo naturale è scomparso, sostituito da uno artificioso e definito progredito.
Il dottor Moreau è il perfetto agente di una nuova società che deve andare a snidare ogni cellula della Terra, tramutandola e assoggettandola. In nome della scienza, egli e l'inizialmente turbato e restio dottor Montgomery, ha reso degli animali quasi umani, ma è proprio quel "quasi" il problema, infatti il risultato è un ibrido sempre esposto al pieno ritorno dell'istinto selvaggio.
L'isola sperduta del Pacifico dove agiscono verrà incidentalmente visitata da Carlo Edoardo Prendick, individuo sicuramente più ricco di morale rispetto all'allucinante scienziato, che si troverà a che fare con una sub-società specchio di classi disagiate, frutto di fagocitanti tempi industrializzati che non guardano in faccia nessuno. Le entità mutate, nonostante vivano assieme e siano in qualche modo organizzate, dipendono sempre da quella mano semi divina che ha il potere di schiacciarli quando vuole, di dettare loro regole, di farli soffrire o gioire.
È pur vero che anche il folle medico non può fare a meno del suo parto, li lega un cordone ombelicale ambiguo e malsano, canale di insuccessi e traguardi.
Ma questo sistema è destinato ad esplodere, a nulla valgono i tentativi di tamponamento, l'"eccesso di scibile" sarà un potente detonatore. Ma ciò che termina in un punto del mondo è sicuramente attivo anche altrove; dovunque. Prendick si accorgerà che tali caratteristiche non presenziano solo su su sperduti isolotti, anzi, capirà che la bestialità appartiene ad altre schiere...

Island of Lost Souls
(L'isola delle anime perdute)
1932
Stati Uniti d'America
Regia: Erle C. Kenton
Soggetto: H.G. Wells
Sceneggiatura: Waldemar Young, Philip Wylie

Nonostante evidenti differenze di adattamento è la trasposizione migliore delle quattro realizzate.
Cambiamento principe è la presenza di una donna con un ruolo maggiore fra le creature, con il sordido dottore che tenterà la carta Prendick, qui però chiamato Parker, per comprendere quanto umana è diventata, puntando su sesso, amore e tutto l'armamentario di sentimenti umani. Il protagonista vive anche il contatto con la sua compagna, non presente nel romanzo, che farà di tutto per raggiungere il suo sperduto amato. Finale più ottimista ed evidenti altri aggiustamenti.
Classico stile Paramount Picture ed horror del periodo, Kenton ha lavorato anche per Universal e Metro-Goldwyn-Mayer: silenzi e tempi rilassati, azione anche accelerata, Moreau, interpretato da Charles Laughton, è quasi una caricatura, ciò lo rende grottesco ma maggiormente laido e meno d'aspetto professionale. Compito ma disagiato Montogomery (Arthur Hohl) e buona la resa di Parker (Richard Arlen), perfetto borghese catapultato in una difficile realtà inurbana. Ottimo, per il tempo, il trucco delle "anime perdute", le entità vittime degli esperimenti, fra le file un irriconoscibile Bela Lugosi.
Ombre quando necessario e luci  per un'idea d'esotico.
Gli altri adattamenti sono stati prodotti nel 1971, con Tim Burton e The Island of Doctor Agor, nel 1977, The Island of Dr. Moreau e nel 1996 con lo stesso titolo. Divertente anche la parodia nei Simpson, nello speciale di Halloween XIII: The Island of Dr. Hibbert.

domenica 4 marzo 2012

emozioni protratte


Il cinema di Alessio Di Zio

Le opere di Di Zio non sfigurerebbero, citate su un dizionario, di fianco alla parola "intimismo".
I plot dei suoi film, quasi tutti del 2011, dovete cercarveli nel cuore, l'opera di costruzione emotiva avviene lì, più che nel cervello, è una questione d'anima, come quella messa a nudo dai vari protagonisti
È un'infinita attesa "beckettiana" quella dei personaggi di Swinging Horses e Roberto Pellegrinaggio, sospesi in un limbo temporale, fatto di gesti rituali, espressioni accennate e silenzi, interiorità esposta agli occhi dello spettatore che assimila emozioni mano mano, visti i tempi dilatati a dismisura del cinema di Alessio.
"Roberto" è ai margini del sociale, impegnato in un tentativo empatico di ricontatto con la natura, guardando con la coda dell'occhio il mondo evoluto; a sera, non si saprà se ciò andrà a compimento in un successivo giorno o tutto decadrà.
La "tarantiniana", solo per quel che riguarda il comparto fotografico e sonoro, presenza di Swinging Horses ricerca la propria infanzia, facendo leva su feticci simbolici che la rappresentano. Il character dall'aspetto vintage, circondato da oggetti che rimandano al passato, con in background vecchi suoni, parlerà con la propria coscienza per riavere gli anni trascorsi.
"Il Piacere" è invece un inno alla consapevolezza, un "monologo silenzioso" sulla sicurezza di sé. L'interprete si prende i suoi tempi per riflettere, si domanda e si risponde (dall'interno, ma noi osserviamo), e pare chiedere una conferma anche allo spettatore. Positivo, insieme a Rodolfo Valentino, in cui un pittore vive egli stesso una sua opera, dal di dentro, è parte di un grande quadro d'autore. Quadro è la parola giusta perché un altro tratto saliente delle pellicole in esame è l'esasperata ricercatezza dei piani, la composizione dell'immagine assume massimo valore, un oggetto alla sinistra o alla destra dell'inquadratura varia il messaggio raccontato in quell'attimo, lo show di primi piani, piani americani, mezze figure, ecc. infrange i tempi classici.
Culto per le geometrie in The Park, realizzato nel 2010, vicino a Chris Marker e ai concetti sovietici di realtà inesplorata, rimarca che gli ambienti quotidiani offrono almeno quanto il fantastico, basta sapersi soffermare, fermarsi un attimo, non correre sempre...
A proposito di Marker: di rilievo la tecnica del fotogramma che prende vita usata più volte da Di Zio, in modo simile a La jetée.
Arriva anche la maturità professionale con il mediometraggio Le favole di Casimiro, storia di un ragazzino che deve fare i conti con la crescita, con il mondo che si muove veloce attorno a lui. C'è la famiglia affettuosa ma "macchinosa", l'amico che vuole essere più grande di quello che è in realtà, i coetanei già entrati nel circolo del conformismo adolescenziale, fatto di ragazzine, sport, griffe e Facebook. Casimiro non riesce a star dietro allo scorrere del tempo, vorrebbe che il suo compleanno non arrivasse mai, è confuso, vive in quell'ovattata nuvola che, contro la sua volontà, deve essere completata e messa da parte.
In questo caso il regista si avvale di una troupe più vasta, con ruoli definiti e produzione alle spalle.
Sinceri complimenti a quest'autore appena diciannovenne, dimostrazione in carne ed ossa che in Italia le idee e le personalità cinematografiche ci sono, anche in un Centro-Sud che non è solo cabarettisti riccioluti e stereotipi.
L'underground offre ottime cose, speriamo in un futuro mercato che sappia scovare e valorizzare, per adesso ne godiamo noi attenti appassionati.