OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

lunedì 30 maggio 2011

in maschera e non

Skizofrén
2010
Ungheria
Regia: Tamás Sáros
Scritto:
József Gallai, Tamás Sáros

Un breve esempio di come le nuove tecniche cinematografiche possano essere utili a descriverci determinati aspetti della trama, quelli più inconsci: transizioni "a lampo", accelerazioni e definizione digitale dei dettagli rendono l'idea di ciò che costruisce una mente come quella del soggetto del cortometraggio qui in esame. Purtroppo l'abuso è dietro l'angolo, siamo ormai abituati a vedere tali applicazioni, prevedibilmente l'originalità viene meno. Visione utile a chi vuole cimentarsi nel produrre lavori simili o a chi vuole imparare per completezza personale, ma se si è alla ricerca di qualcosa veramente d'effetto è bene cercare altrove.

venerdì 27 maggio 2011

rituali balinesi

Leák
1981

Indonesia
Regia: H. Tjut Djalil

Soggetto: Putra Mada
Sceneggiatura: Jimmy Atmaja


Per la fortuna di chi è alla ricerca dell'insolito, la produzione cinematografica non è emersa solo da Stati Uniti, Italia o soliti altri Paesi, ci sono altre zone del mondo che hanno fornito un valente contributo alla causa. Una nazione popolosa e ricca di tradizione come l'Indonesia non poteva esimersi, e la pellicola in questione tratta proprio di leggende del posto, precisamente dell'isola di Bali. Si tratta il "Leyak", figura mitologica composta da una testa fluttuante con organi vari pendenti, in costante ricerca di donne incinte cui rubare il bambino o il sangue di esso. Il film, tratto dal romanzo Leák Ngakak di tal Putra Mada, rende bene l'idea della cosa, grazie anche all'aroma esotico che si respira, ma la realizzazione globale è appena sufficiente, rientrante, secondo alcuni, nell'insieme del cosiddetto trash, indicazione poco precisa che qui sarà sempre osteggiata. L'insolito impianto può far apparire a noi occidentali ridicole alcune sequenze, e gli effetti ci mettono del loro, arrangiati alla meno peggio, però non distantissimi da quelli buffi presenti in centinaia di lavori dello stesso periodo, italiani compresi. Se la cavano, invece, il reparto make up e la fotografia, esperienza tecnica ve n'è, lo spazio nei campi è curato, e l'effetto migliore proviene dalle scene al buio.
Sopra le righe la maggior parte delle interpretazioni, la cosa è però lecita visto che si parla di allucinati riti di magia nera, dove l'invasamento è all'ordine del giorno.
La volontà di non rovinare la sorpresa ci porta a non svelare dettagli interessanti, che fanno l'opera almeno varia e non di certo noiosa.
Conosciuto anche con il titolo internazionale di Mystics in Bali.

domenica 22 maggio 2011

un opuscolo che scivola sotto una porta

Racconti agghiaccianti 
Gustav Meyrink
Newton Compton Editori


Non è un mistero che qui ci dilettiamo a scavare nei meandri di vecchie pubblicazioni, riproponendole, per volontà di non perdere pietre miliari letterarie o semplicemente cose di nostro gusto, purtroppo non più ristampate. Che miniera erano i tascabili Newton da cento pagine, meriterebbero uno speciale tutto loro!
Ora parliamo di Meyrink, nativo austriaco però influenzato dalla permanenza praghese, conosciuto ai più come autore de Il Golem, ma creatore di romanzi altrettanto validi, nonché di racconti brevi sicuramente da prendere in considerazione. In questo volumetto ne troviamo pregevoli esempi.
Difficile sceglierne un preferito, ma la laida atmosfera de Il gabinetto delle figure di cera o la visionarietà della festa di Danza macabra rimangono bene impresse. Il primo tra l'altro ricorda, per certi versi, il suo quasi omonimo cinematografico, Il gabinetto del dottor Caligari, mentre, inaspettatamente, non c'entra nulla con l'opera di Paul Leni dallo stesso titolo, scritta dal grande Henrik Galeen. Non da meno è il claustrofobico scantinato di Le piante orribili, storia onirica e allucinante, così come L'urna di S. Gingolph, più propriamente d'orrore, dagli echi simili a quelli dei colleghi di Gustav più incentrati sulla narrativa di genere. Ma Meyrink era valente anche nella satira, con l'esercito che ne rimaneva spesso vittima: è il caso di I cervelli e Castroglobina, probabilmente "utili" ancora oggi... Nuovamente toni grotteschi con Il segreto del Castello di Hathaway, e un finale che vale l'intera lettura; forse il maggior esempio del volume su come poter coniugare linee tetre e risvolti umoristici.
La maschera di gesso, Il Bramino, L'anello di Saturno contengono tutti vicende legate a congregazioni, evidente specchio di esperienze dello scrittore in campo esoterico. Spaventoso e sentenzioso il primo, riflessivo il secondo e magicamente potente il terzo.
Vista la reperibilità del libretto, se ne consiglia la lettura come assaggio delle grandi doti dell'autore, del suo particolare stile, magari senza farsi influenzare totalmente dal titolo un po' fuorviante; come detto, si spazia molto rispetto a canonico orrore.

martedì 17 maggio 2011

non solo kiwi

Larger Than Life
1998
Nuova Zelanda

Regia: Ellory Elkayem

Scritto: Ellory Elkayem


Prodotto che fa rivivere le emozioni degli eco-venegance anni Cinquanta, dichiaratamente ispirato a titoli come Tarantola, Radiazioni B X: distruzione uomo e Assalto alla terra.
Una bella fotografia in bianco e nero ci parla dei classici ragni contaminati e divenuti giganti, con uno stile essenziale e pulito, con il pregio di effetti speciali di tutto rispetto, che richiamano quelli dei film a cui si rifanno. Prove attoriali marcate e un filo sopra le righe, che coadiuvate da musichette utili allo scopo (sempre di stampo Sci-Fi fifties) e comportamenti degli aracnidi volutamente esagerati e inverosimili danno quel tocco cartoonesco che personalizza la pellicola su uno stile farsesco.
Presentata ad un festival nel Colorado, viene notata dai produttori Dean Devlin e Roland Emmerich, e da lì nascerà la volontà di produrre il successivo e fracassone, di uno stile che noi apprezziamo molto meno, Arac attack - Mostri a otto zampe.
Nota: la carriera registica di è Elkayem quasi totalmente votata al fanta-horror.

sabato 14 maggio 2011

i mozzztri

Maledette zanzare
Simone Corà
Edizioni XII

Zanzare. Quanti hanno provato il fastidio della loro presenza, incombente in larghi ambienti esterni o fin dentro l'intimità del proprio letto. Ma qui si parla di una forma ben superiore a quella che conosciamo, al di sopra del semplice fastidio di una puntura e del prurito...
Simone Corà, vecchia conoscenza del sottobosco letterario italiano, quello dove la passione supera nettamente la volontà di lucro, è al suo primo romanzo, anticipato da racconti apparsi un po' ovunque e collaborazioni all'interno di situazioni più stabili, come la casa editrice XII, esaminata spesso su questi lidi.
Il libro è una miscela esplosiva, colma di pura azione, di estremo splatter e di impronte pulp, linguaggio in primis. Il ritmo tiene per l'intera lunghezza del tomo, questo è il pregio più grande, nonostante la storia sia dislocata su più storie parallele, comunque sempre legate da un filo conduttore. I personaggi sono ben resi, qualcuno volutamente più stereotipato, per proporre al lettore qualcosa di empaticamente fruibile, che vada subito a posizionarsi nella lista delle sue simpatie; altri decisamente inediti, con sfaccettature psicologiche ben delineate. Andando avanti con i pregi segnaliamo un altro asso nella manica del Corà: il fattore sorpresa. Diverse volte accade qualcosa di inaspettato, non prevedibile come certi tipi di storie ci hanno insegnato, e senza alcun timore vengono tranciate ragnatele emotive tessute nella testa e nel cuore del lettore.
A beneficiare di tutto questo possono essere i fan dell'horror puro, così come quelli della fantascienza o del fantastico, della narrativa d'avventura o del succitato pulp, troviamo infatti similitudini con i lavori di Joe R. Lansdale, essenzialmente quelli d'orrore e brevi, e con il cinema di Robert Rodriguez, anche per via della presenza di una spessa vena comica, utile deliziare i cultori del grottesco e ad alleggerire situazioni truci. A contrapposizione di quest'ultima caratteristica però c'è da segnalare anche una non indifferente base più profonda, una buona idea, che riesce anche a dividere spazio con leggeri sentimentalismi. Di rilievo anche la connotazione provinciale e agreste, rivoluzionario è lo scenario veneto, con proposta di ambienti reali.
Difetti? Problemi? La parte finale si fa un filo più ostica, al lettore è richiesta maggiore attenzione per seguire gli eventi, come se delle ellissi temporali lo smarriscano. A tratti pare anche che ci sia stata volontà di chiudere più di fretta determinate situazioni.
Tecnicamente siam ben messi, con buon uso della punteggiata, anche molto personale.
Se questo è l'underground italiano, speriamo che salga sempre più alla ribalta...
L'opera è disponibile in formato eBook, acquistabile su più piattaforme e leggibile con software free. Noi abbiamo usato Adobe Digital Editions, stampandolo anche comodamente su carta.
http://eshop.xii-online.com/store/information.php?info_id=28
Booktrailer

sabato 7 maggio 2011

primordi

突貫小僧 (Tokkan kozô)
(Bambino che non si ferma mai)
1929

Giappone

Regia: Yasujirô Ozu

Soggetto: O. Henry,
Chuji Nozu
Sceneggiatura: Tadao Ikeda


Una delle prime pellicole, che iniziarono a sbocciare nel 1927, del maestro del realismo Yasujirô Ozu. Pervenuta a noi incompleta, ne rimangono solo 14 minuti, pochi per un parere di un certo spessore, ma sufficienti per capirne bene o male i meccanismi.
Un duo di rapitori di bambini tenta l'ennesimo colpo, ma la fortuna non li assiste, incapperanno infatti un soggetto pestifero che li farà impazzire.
Decisamente più leggero rispetto alla profondità di opere immense come Viaggio a Tokyo o Il gusto del sakè, ma già chiaro nel voler rappresentare lo spirito del regista. Evidente l'ispirazione dal cinema occidentale in voga a quel tempo, precisamente quello comico con esponenti quali ad esempio André Deed per l'Europa o Buster Keaton per gli Stati Uniti; parliamo quindi dello "spalstick". Da ricordare che il soggetto si ispira ad un'opera dell'americano O. Henry. Divertimento però, come detto, condito dal voler rappresentare una realtà credibile, gag a parte, come quella della vita quotidiana dei bambini o di persone adulte.
Fotografia acerba, sotto l'occhio di Hiroshi Nomura, senza ancora i tocchi stilistici che hanno caratterizzato la carriera di Ozu, esempio le mezze figure frontali. Montaggio analitico completamente asservito al realismo.
Qualche anno più tardi sfornerà un altro film in cui sono protagonisti dei bambini, tra l'altro utilizzando lo stesso attore qui protagonista, Tomio Aoki: Sono nato, ma..., ennesimo suo capolavoro.

martedì 3 maggio 2011

farsi sparare divertendosi

SPARATE SUL REGISTA!
Personaggi e storie del cinema di exploitation
Alberto Farina

Editrice il Castoro


La scarsa reperibilità di pellicole basate su genuina exploitation in Italia equivale a quella del cartaceo che descrive lo stesso genere. Nel 1997 però Alberto Farina provò, con ottimi risultati, a dare il suo contributo per colmare degnamente la lacuna; mai nome più adatto per un'infarinatura, ed anche più, su quell'affascinante mondo sotterraneo. La sua pubblicazione ci parla di esso, ma "full optional", narrandoci anche della vita fuori dal set di chi ne ha fatto parte, spesso fuori dalle righe quasi quanto un loro film. L'approccio è appassionato, realista nell'individuare in quel cinema diverse idee che saranno poi sfruttare da chi può far leva su ingenti risorse economiche, ma anche obiettivo nel definirne i limiti, senza i sensazionalismi forzati di diverse riscoperte di generi un tempo denigrati.
Dopo una breve introduzione, nientepopodimeno che di John Landis ed un convinto intervento di Samuel L. Broncowitz si entra nello show, e il Caronte è uno degli esponenti più noti del genere: Edward D. Wood. Tra tutti i profili tracciati da Farina è probabilmente quello più amaro, dove gli aneddoti divertenti passano in secondo piano rispetto alla sciaguratezza di alcune situazioni; comunque viene fatta buona luce sul fenomeno Wood, spesso liquidato malamente da chi parla per sentito dire e per frasi fatte. Corposi e profondi sono anche gli articoli sugli "indispensabili" Russ Meyer e le sue sinuosità femminili, Herschell Gordon Lewis e il culto del gore, Ray Dennis Steckler e l'arte di arrangiarsi, l'estroverso Ted V. Mikels, John Waters, Andy Milligan ed altri, con sortita speciale per il guru dell'ambiente Jesús Franco.
Rilievo anche al lato produttivo, con Roger Corman e le sue factory, e, nella parte finale dedicata al periodo dagli Ottanta in poi, anche sulla Troma. Evidente quindi anche un'incursione su un periodo più recente, dove l'exploitation per com'è maggiormente conosciuta aveva quasi smesso di esistere.
Occhio anche su particolari situazioni, come il parallelismo fra il mondo della Lucha Libre messicana e i suoi eroi dediti al cinema, in primis El Santo, sulla saga dei pomodori assassini e, interessantissimo, sugli stratagemmi da sala cinematografica che facevano da contorno alla pellicola: gadget, effetti sonori, artifizi visivi e invenzioni di ogni genere.
Chiude un'intervista al nostro Joe D'Amato, che snocciola dettagli da far gola a qualsiasi fan del "di genere".
Il libro è ancora reperibilissimo, la scoperta d'esso è consigliata, visto che siamo ancora in un periodo dove grandi nomi, vedi Quentin Tarantino, rivelano le loro radici affondate nell'exploitation.