OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

venerdì 30 settembre 2011

scambio

Каток и скрипка (Katok i skripka)
(Il rullo compressore e il violino)

1961
Unione Sovietica
Regia: Andrej Arsenevič Tarkovskij
Scritto: S. Bakhmetyeva, Andrej Končalovskij, Andrej Arsenevič Tarkovskij

Il giovanissimo violinista Sasha, piccolo e fragile, conosce Sergei, addetto al rullo compressore, persona umile ed onesta. Nascerà un'amicizia, purtroppo "controllata".
Terzo film di Tarkovskij, un mediometraggio di tre quarti d'ora, con cui ha potuto diplomarsi al prestigioso istituto cinematografico VGIK. Era un periodo "kruscioviano" di leggera apertura in URSS, e l'opera ne è un soddisfacente specchio: nonostante sia legata a temi classici del realismo socialista, introduce innovazioni sia dal punto stilistico che da quello del messaggio. Il ragazzino, nella prima parte, gira per una Mosca da dipinto, un filtro che divide il quadro in più punti ed un gioco di specchi rendono la sua visione affascinata e sognante, una moltiplicazione dell'immagine che ci mostra l'animo di un bambino che amplifica la realtà, rendendola migliore. Elemento ricorrente è anche l'acqua, al solito, simbolo di vita, presente per tutta la pellicola. Fa da elemento trainante alla crescita educativa del bambino perpetrata da Sergei, da sfondo alla rinascita architettonica (bellissimo il campo profondo con il palazzo del Ministero degli Affari Esteri che spunta dietro un palazzo abbattuto), ed è presente anche nel finale, seppur minimamente. Il tema portante mostra l'operaio che insegna le basi del vivere a Sasha e lui, dal suo piccolo, spiega le fini delizie dell'arte. Evidente possibilità convivenza fra il proletariato e il mondo artistico, entrambi hanno da insegnare all'altro, che umilmente riceve nozioni. Cosa succede poi? Arriva la madre del piccolo, che gli impedisce di vedere l'amico, con cui aveva in programma di andare al cinema a vedere Ciapaiev (1934). Un fare da despota, condito da presunte giuste motivazioni, è qui rappresentato, la comunione non è possibile per via di una visione superficiale, tutto deve rimanere entro rigide basi, non viene seguito il volere popolare. Una critica al sistema sovietico? Può darsi.
Non sono solo lenti ed acqua a felicitare lo spettatore. C'è anche l'intensa interpretazione dei protagonisti e i tratti caratteristici di Tarkovskij già presenti: uno su tutti, il generale ritmo cadenzato, la lentezza delle carrellate, in contrasto alla frenesia di certe produzioni avanguardistiche di decenni prima.

martedì 27 settembre 2011

smorfie

Дневник Глумова (Dnevnik Glumova)
1923
Unione Sovietica
Regia: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn

Il diario di Glumov, realizzazione nata per essere uno scorcio cinematografico sperimentale in una rappresentazione teatrale messa in scena da Ėjzenštejn e da Sergei Mikhailovich Tretyakov, Mudrets, adattamento di Na vsyakogo mudretsa dovolno prostoty (Anche il più furbo ci può cascare), dell'autore Aleksandr Ostrovsky. Nonostante la particolarità della cosa è, a tutti gli effetti, il primo cortometraggio di Ėjzenštejn, appartenente alle produzioni del Proletkult, movimento nato per creare e diffondere arte proletaria.
Al di fuori del contesto è difficile seguire la vicenda, a capire le simbologie, i luoghi ed i tempi, ma paiono presenti anche rimandi politici e religiosi.
Embrione del "montaggio delle attrazioni", con grande uso di tecniche quali le sovraimpressioni e la transizione "iride", quest'ultima a caricare ulteriormente primi piani e dettagli.
Camera generalmente fissa, e sulla scena compaiono spesso due elementi in dialettica, purtroppo, ripetiamo, non percepibili a fondo se si è estranei allo spettacolo teatrale.
Elementi curiosi e all'avanguardia sono il mostrare una bobina cinematografica e la presenza dello stesso Ėjzenštejn all'inizio, due interessanti assaggi di metacinematografia, un'autoreferenza che, all'interno di un'opera nata per maggiori funzionalità teatrali, rimarca anche le qualità del mezzo cinema.
Da ricordare che è stato recuperato da Dziga Vertov ed incluso nel suo Kino-pravda no. 16.
Il Prolekult ha avuto vita breve (1917-1925), ma ha mostrato arte fuori dalle linee standard, forse prematura, o forse davvero utile alla causa.