OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

lunedì 30 aprile 2012

una sciarpa nella nebbia

The Lodger: A Story of the London Fog
(Il pensionante)
1927
Regno Unito
Regia: Alfred Hitchcock
Soggetto: Marie Belloc Lowndes
Sceneggiatura: Alfred Hitchcock, Eliot Stannard

Il pensionante ha un volto molto dolce, ma nello stesso tempo i fatti portano a vederlo con un alone perverso, il bianco del cerone diventa quello del volto della morte e gli occhi languidi perversione omicida. Daisy, figlia dei padroni della pensione si è ormai infatuata, la madre è invece sospettosa, il padre più distaccato. Le nebbie di Londra nascondo dei misteri. Un poliziotto fa il filo alla ragazza, e non ha in simpatia il loro cliente...
Fortissima influenza della avanguardie tedesche per questa quinta opera di Alfred Hitchcock, ritenuta però il sincero esordio. Gli stilemi del maestro, la cura estrema che verrà riposta poi nel periodo americano è già presente: i pensieri accentuanti da semplici piani, dei dettagli espressivi che parlerebbero anche senza intertitoli, la donna diafana, delicata ma sicura di sé, il soggetto per cui lo spettatore parteggia e rifugge, i cameo del regista stesso, ma soprattutto il classico tema giallo, con i dubbi che si sciolgono solo a fine pellicola, comprendendo anche una sorta di doppio finale.
Ma ombre, accento su alcune parti scenografiche, tra cui porte e scale, sono evidente impronta espressionista, mentre la lenta e spesso solo accennata recitazione presente in alcuni momenti è più vicina al Kammerspiel. Da espressionismo tedesco anche i magnifici, seppur brevi, titoli d'inizio pellicola di E. McKnight Kauffer, che fanno riferimento alla figura del triangolo ricorrente nella pellicola: il triangolo lasciato sui biglietti dell'assassino, il triangolo amoroso...
Ispirato da libro omonimo e lavoro teatrale (Who I He?) di Marie Belloc Lowndes, portato sullo schermo altre sei volte: con lo stesso titolo, The Lodger, nel 1932, nel 1944 e nel 2009 e nella serie Armchair Mystery Theatre del 1965, chiamato Man in the Attic nel 1953 e con la traduzione tedesca Der Mieter in un film TV del 1967.

venerdì 27 aprile 2012

le sang et la nudité

Sexandroide
1987
Francia
Regia: Michel Ricaud

Tre weirdissimi episodi, sbilenchi quanto basta per entrare nell'underground più infimo, con fotografia amatoriale da filmino casalingo anni Ottanta, prove attoriali infelici con tanto di sguardo in camera, ma molto, molto gusto, smisurata passione e orrida fantasia.
Non dobbiamo pretendere trame intricate, assistiamo infatti ad una sorta di spettacolo teatrale (vi partecipa una compagnia, Le petit mescal), un Grand Guignol moderno, non a caso il film è francese, con siparietti da prendere fine a se stessi.
Nel primo, la dagyde, una ragazza, seduta ad attendere qualcuno o qualcosa in un locale, subisce il classico rito Vudù della bambolina da un oscuro individuo. Il male si consumerà nel bagno della struttura, con sangue a iosa, in primis dalla vagina, in una sorta mestruo estremo. Affiorerà, causa punture di spillone da parte dell'aguzzino, anche dalle mammelle, dagli occhi; poi si assisterà a bruciature e impiccagione. Il tutto è però morboso, lei emette gemiti che danno idea di sadico piacere, il suo corpo è nudo, la perversione scalpita.
Nel secondo episodio, les Sexandroides, quello più curato, una bellissima ragazza si reca in un sotterraneo dall'arredo gotico. Qui, dopo attimi di finto o vero smarrimento e invasamento con tanto di strip, fustigazione e balli rituali, incontrerà una creatura (il cui trucco è talmente pesante da farne rimanere traccia anche sull'altra attrice) che la torturerà in maniera... amorevole. Già, perché i due paiono praticare un rito sadomaso, dove lui sputerà un ragno nella bocca di lei e le mangerà i capezzoli, ma anche lui stesso si farà del male, specialmente quando si tirerà fuori le budella in stile Antropophagus. Se ne andranno sottobraccio e dissanguati, in uno stupendo lieto fine. L'impressione generale è da horror dilettantesco del tempo, girato con quei mezzi di ripresa allora meno alla portata di tutti. A noi ha ricordato anche diverse iconografie riprodotte su copertine di gruppi heavy metal di allora. Del gran bel gothic gore vintage!
Il terzo, les dents de l'amour, è davvero grottesco: una veglia funebre ad un vampiro si trasformerà in un balletto sexy, con tanto di musica in presa diretta, non certo tutta tetra, e tempi esageratamente lunghi. Per un attimo si sfiora l'hard, ma l'ironia la fa da padrone, specialmente nel finale!
Lunga vita alla concezione del weird!

domenica 22 aprile 2012

rossetto e corpetto

Let the Punishment Fit the Child
1997
Stati Uniti d'America
Regia: Maria Beatty e Margie Schnibbe
Scritto: Maria Beatty e Margie Schnibbe

Una "madre" punisce la sua "piccola" chiudendola in uno stanzino: saranno momenti di riflessione, di voyeurismo, nonché cinghia di trasmissione del modo di porsi della genitrice verso la ragazza, questa novella Carrie versione invertita, che sperimenterà su delle bambole malconce, incarnazione della stessa mamma, di lei e del loro ambiguo rapporto.
Bianco e nero, forti chiaroscuri, fotografia art house di stampo espressionista, musica da carillon intervallata da sensuale sassofono, per una storia che ha dell'incestuoso, del sadomasochista, del perverso, dello psicologico profondo.
Le immagini della punizione principale si intervallano a quelle di un'altra, probabilmente passata, caratterizzata da una lunga ed erotica sculacciata, terminata con un attimo di sollievo, un'indulgenza momentanea.
È un rincorrersi in 16 mm di dettagli su elementi sexy e feticisti, dal forte sapore estetico, con le protagoniste (e autrici del film) Maria Beatty e Margie Schnibbe, "lolita" l'una, vintage e "diva" l'altra, decisamente a loro agio.
Ossessionanti le bambole deformi sottoposte a vari tipi di torture, uno strumento di pratica fortemente turbante, una rappresentazione dell'umano solitamente abusata, ma qui efficace.
Alla fine, fra sovrimpressioni, arriverà il fuoco purificatore, la figliola sarà maestra nell'imitazione della sua creatrice e avrà quindi imparato la lezione; la chiave aprirà la porta.

domenica 15 aprile 2012

rose bianche, morite!

Adoration
1987
Belgio, Francia
Regia: Olivier Smolders
Scritto: Olivier Smolders

Il terzo occhio della camera fissa è in realtà l'interno della mente di Issei Sagawa: un ambiente essenziale, in cui l'unica presenza realmente viva è l'attesa, quella per la compagna di studi alla Sorbona Renée Hartwelt, e per ciò che dovrà perpetrare. Lampi di transizioni fluttuano come pensieri. In sottofondo il rumore dello scorrere della pellicola, la memoria di Issei, un archiviare che nel prosieguo avverrà in maniera più materialistica. A conferma dell'idea del diegetico unito all'extradiegetico vi è la mistura fra l'onniscienza del campo totale e la soggettiva del protagonista, che coglie attimi di vitale riferimento, tipo il consumo della cena, per l'atto che succederà di lì a poco.
Renée recita candide poesie, l'esame di fine ciclo di letteratura inglese è vicino; esse parlano di verginità, di biancore, di fiori, apparizioni e forti emozioni, saranno registrate su nastro, qui l'atto materiale, che più che scorrere nel registratore si avvolge al cervello di Sagawa.
Uno scoppio e poi l'amore, l'adorazione, l'assaggio dell'immacolata carne di lei, la sua voce suadente nell'aria dopo un "play", la testimonianza campo/testa che continua anche in plongée, il corpo esile di lui, mentre, nel consueto totale, quello di lei, nudo e martoriato dalle emozioni di Issei, è ancora più in rilievo, ancora più bello.
Qui, nell'interpretazione di Smolders, Sagawa pensa di aver completato il suo vissuto, e, con uno sguardo vorticoso, pone fine "nipponicamente" alla sua esistenza, cosa mai avvenuta in realtà.
Già, in realtà.

sabato 7 aprile 2012

entrata e fuoriuscita

Convulsion Expulsion
2004
Stati Uniti d'America
Regia: Usama Alshaibi

Già dai preliminari il suono, di Andy Ortmann, è forte, contratto, perché l'emozione è già altissima, rimbomba nella testa, il bianco è vivo perché si è in un mondo allucinante, in più è il colore giusto per mostrare l'asettico che viene violato.
C'è sempre un qualcosa di "medico" nel sesso, e le bende sono lì a rappresentarlo, oltre ad essere, per come sono distribuite, un richiamo alla cultura araba.
Bagno vintage di make up e fotografia (Andrew Dryer), ricordando che è stata usata una camera degli anni venti.
La masturbazione dell'organo femminile e il sesso anale generano sangue, quello orale una materia densa: siamo abituati alla nostre sicurezze, ma parallelismi simili, o addirittura ruoli invertiti, uscite al posto di entrate, non sono poi così audaci. Il sangue è vita, voluttà, ma perderne è sinonimo di donarsi, dare se stessi, porgere energie vitali. L'aggressività che appare talvolta nell'amarsi è come uno squarcio zampillante, la vista è offuscata dal dolore/gaudio. E dall'appagamento.

mercoledì 4 aprile 2012

verecondia

Il corridoio del grande albergo
(Tratto da La boutique del mistero)
Dino Buzzati
Mondadori Editore

La vergogna: altro sentimento di difficile comprensione.
È indecoroso vestirsi in maniera sciatta, ma il senso di sciatto cambia da persona a persona; semplicemente è anomalo vestirsi in maniera diversa dalla massa. Al giorno d'oggi, se sei uomo e porti i jeans scampanati devi vergognarti, ugualmente se ti fai crescere la barba o se i tuoi capelli sono un po' alla rinfusa.
Devi vergognati se sei a petto nudo in casa (e magari ricevi gente in visita), ma sei perfettamente in riga se pubblichi le tue foto in costume, quelle delle vacanze "cool", su Facebook.
Sei un sadico e devi mortificarti se guardi uno splatter, ma sei una persona a modo se segui ogni secondo di servizi da avvoltoi su omicidi reali, protratti fino allo sfinimento, messi lì al posto di un quiz o un telefilm; oppure se sei a favore della colonizzazione imperialista.
Il buon Buzzati ci parla del pudore sull'andare in bagno, cosa che più naturale non c'è. Un pudore che ha portato allo sfiancamento diverse vittime, vittime della loro ottusità o di quella della società.

domenica 1 aprile 2012

intima luminosità

Lo sguardo di Cristina ki Casini

Quanto sono fredde certe diagnosi, modi articolati per descrivere sentimenti più che comprensibili. Astruse anche le soluzioni, parole meccaniche che paiono una lingua aliena. È un distacco dalla natura, il limbo in cui si galleggia è qualcosa di sensoriale, tatto compreso. Eppure la natura è lì, a portata di mano, ma lo stato di incoscienza non permette di assaporare. Tutto ovattato, sfocato. È Cura interrotta, primo cortometraggio in regia solitaria ed in senso più classico di Cristina, con l'azzeccato testo recitato di Sarah Kane.
Prima d'esso c'erano stati tre esempi di purissimo sperimentalismo: il sinuoso Laban, un vero inno al corpo umano e al suo linguaggio, l"elettrico" Bassa Tensione, tutto energia, e il graffiante Di gesso. Orge di cromatismi esasperati, suoni paralleli e sensazioni, è un po' come chiudere gli occhi e vedere figure indistinte, i residui d'immagine al di sotto delle nostre palpebre.
Diagrammi. Dimentico è un viaggio nella nostra mente fatta di ricordi frammentati, lavoro estremo sul diaframma, l'otturatore della macchina aperto al massimo è la luce fatta sulle nostre memorie spezzettate, nel grande ed umido edificio dell'ambientazione (il cervello e i suoi fluidi?), che, dopo l'illuminazione, finiranno in un cassetto.
Di giochi e di specchi è una dedica, storia di persone, fra alti e bassi, differenze, similitudini. Nel cromatismo seppia, fra inserti dal sapore antico e musica soave si consuma un gioco di emozioni, quelle scrutabili nell'occhio umano, sentimenti che vengono anche riflessi in un gioco a ribattere, fino alla fine...
Giorni è ciò che molti vorrebbero vedere nei cinema: fruibile e profondo nello stesso tempo, divertente e riflessivo, ci parla di chi insegue il suo futuro, un futuro incerto, quello da cui chissà cosa ci si aspetta, lasciando alle spalle tutto ciò che ha accompagnato la crescita. Simpatica l'idea "burocratica", ottima punizione per chi cerca una posizione "plasticosa" rinunciando all'intimismo. Un tema molto caro a chi vive in luoghi come quello nativo di chi sta scrivendo. Ben gestito e recitato, con un uso azzeccato del montaggio e soprattutto dei silenzi, contrappunto all'intensità delle immagini, come al solito per il cinema Cristina, curate molto sul piano dei colori.
L'abilità tecnica dell'artista viene fuori particolarmente in due video che mostrano opere d'architettura. Uno "vertoviano", con piazze ed ambienti pubblici, connotato dalla presenza dell'umano a percorrere gli spazi geometrici, scelta che permette un'unione fluida di organico ed inorganico, che ad un tratto si distacca dal realismo per diventare quasi dadaista. L'altro è una spettacolare contrapposizione temporale, ricchissima di formalismo altamente professionale. Virtuosismi, panoramiche armoniose d'effetto, carrellate a seguire, montaggio ad hoc, viene creata una brillante magia, grazie anche al succitato giocare con il tempo.
Le opere della "ki" non finiscono qui, è stata anche impegnata in collaborazioni, confermando l'eclettismo dei suoi lavori, davvero un punto forte delle sue attività cinematografiche.
http://cristinakicasini.blogspot.it/
http://ilpostodeglioggetti.blogspot.it/