OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

venerdì 31 agosto 2012

senno puntinato

Le retour à la raison
1923
Francia
Regia: Man Ray

Una pressione al capo, estemporanee immagini, come ciò che si vede dietro le palpebre, specie se oppresse.
Amore che penetra nell'animo come un chiodo, molteplici chiodi, oppure come vecchie puntine che sono lì per ricordarlo in ogni momento. Accecano, tormentano e allontanano con veemenza la ragione, il buonsenso, portano uno stato confusionale.
È come una giostra, flebili luci si stagliano sulla vita, poi c'è quel ballo che è anche pericolo, un chiaro messaggio, seppur un velo offuscato.
Figure concrete sono estuari verso il raziocinio, ma danzano, sì, danzano, follia!
La ragione è materia, una realtà carnale che dovrebbe aiutare.
Riuscirà o, con le sue ombre, complicherà?

mercoledì 29 agosto 2012

fuligginosi fotogrammi

Fanteria Cavalleggeri
2012
Italia
Regia Alessio Di Zio
Scritto: Alessio Di Zio

Per vedere questo documentario dobbiamo preventivare un salto nel passato, vegliare su un luogo in cui il tempo si è fermato perché permeato di ricordi di chi non cambia facilmente, di chi rimane con le sue vecchie e semplici abitudini, di chi nella vita ha avuto soddisfazioni, condivise dai più o meno, e ne è fiero.
Si deve respirare il verde che dai tavoli da gioco e dai biliardi rimbalza nelle lampade da circolo e rimane nell'aria come nebbia, dando luce ad oggetti che sanno di storia, con una nuvola di fumo di sigaretta non ostracizzato. Vecchie pubblicità appese ai muri insieme ai calendari di un'era, immagini secolari, poster di sport con basettoni e folte chiome, carte da gioco napoletane consumate e piegate, portacenere di foggia arcaica. Poi una fugace apparizione di euro per svegliarci dal "torpore sentimentale", ma subito riemergono piccoli trofei, le brioche, talco borato dove un ragazzo giovane magari non se l'aspetterebbe, penne e carte per i conti, cappelli, coppole vissute... Roba che parla, con malinconia, ma anche tanto orgoglio. E se questo "dialogo" non bastasse arrivano anche i suoni ovattati che paiono venire da lontano, musichette e spot da radio, parlate gioviali, irose, scherzose, dialetti stretti, tanto da sentirsi ancora più ancorati a luoghi e tempi.
C'è spazio anche per una una nicchia vuota: non siamo santi, né eroi, ma il Popolo, dignitoso e temprato.
Il nostro Di Zio, ragazzo dal gusto artistico davvero sensibile di cui abbiamo già parlato qui, presenterà questo suo film alla Mostra del Cinema di Venezia 69, nella sezione Cinema Corsaro, insieme ad altri due cortometraggi già discussi nell'altro articolo. Di fianco a lui persone di tutto rispetto e di carriera affermata, uno sguardo al link rende pienamente l'idea...
Retorica a parte, ci rallegriamo vivamente, essendo Alessio una persona realmente modesta, non boriosa e carica d'invidia, né sempre pronta ad esporsi con arroganza, ma a cui piace mostrare il proprio lavoro, e con esso le sue profonde emozioni, non rinunciando ad una squisita riservatezza.
Noi non saremo alle proiezioni, ma già applaudiamo da qui.

lunedì 27 agosto 2012

sberleffo anticonformista

Vormittagsspuk
1928
Germania
Regia: Hans Richter
Scritto: Werner Graeff, Hans Richter

Una mattinata di calci alle convenzioni borghesi, una percossa alla routine, tutto in mano ad un surrealismo vicino ad un Méliès quanto agli esordi di un Buñuel.
L'aiuto più grande arriva dalla stop motion, vera regina del cortometraggio, il taglio che riesce a dare fa le veci di uno spalstick "corrotto".
Gli oggetti, ormai empiti di trasmessa consuetudine, si permettono uno sfacciato e ribelle diversivo, gli umani si adeguano.
Per poco tempo, al mezzodì tutto torna al suo posto, prammatica compresa.
Danneggiato dal nazionalsocialismo, rientra nell'insieme di quella che era definita "arte degenerata".
Si può trovare anche con il titolo italiano Fantasmi del mattino.

domenica 26 agosto 2012

sprazzo di Terayama no. 8

 一寸法師を記述する試み (Issunbōshi o Kijutsusuru Kokoromi)
1977
Giappone
Regia: Shûji Terayama

Nel blu, esigenza primaria e sicurezza, e nel "cattivo" viola v'è la storia di un incatenamento.
Che sia per causa religiosa o piccola mente, il succo non varia, una lei viene prima composta, poi recepita nel suo libertinaggio e ingabbiata.
Ovvia anche la tentazione allontanata di forza.
Lei a tratti rifugge, chi è tentato la insegue, anche in condizioni di ordinarietà.
Lei è il vizio, rovina i sacri valori, la quotidianità e le arti, è troppo, troppo estasiante. Va mutilata di ogni cosa che non sia decorosa, da "salotto".
L'azione è un qualcosa di simile ad allontanare il membro dal proprio corpo, ripararsi da quella pioggia lussuriosa.
Ma tutto ciò è naturale, è vita, è dolcezza; non resta che rientrare nel grembo materno, lasciando fuori tutti i pregiudizi.
Titolo internazionale: An Attempt to Describe the Measure of A Man.

giovedì 23 agosto 2012

in memoria di Sergio Bonelli

Dylan Dog - La Morte Puttana
2012
Italia
Regia: Denis Frison
Soggetto: Denis Frison
Sceneggiatura: Denis Frison, Walter Brocca, Cristian Marcaggi

Inutile ripetere frasi sull'impurità commerciale, quelle sulla logica della vendita, su di un movimento di produzione che spesso se ne infischia dei contenuti delle opere proposte, sacrificando al dio mercato la forma che più aggrada. Dato di fatto consolidato è che l'appassionato di una forma artistica è la persona più adatta a descriverne le caratteristiche, quindi anche quella migliore per avere un quadro di eventuali trasposizioni.
Ciò è accaduto con il fumetto Dylan Dog: il film ufficiale è una mera operazione che riprende il nome dell'eroe di carta, ma lo inserisce in un contesto al 95% estraneo. Mettendo da parte il caso del personaggio parallelo molto simile, Francesco Dellamorte, del romanzo Dellamorte Dellamore dello stesso arcinoto autore di DYD Tiziano Sclavi, e del film ispirato che è servito come "medicinale" per l'assenza di una versione per schermo dell'"Old Boy", passiamo alla proposta trattata adesso, il VERO Dylan Dog, creato da appassionati per appassionati.
L'atmosfera c'è tutta, ma ciò che ci ha maggiormente colpito è stato il riportare con maestria e garbo l'essenza pura della forma originale. Poco importa se la natura "fan film" viene fuori, se gli attori non sono tutti professionisti affermati, se alcuni effetti sono un po' "plasticosi", il doppiaggio non è a livelli paradisiaci o Dylan non è identico fisicamente. C'è la filosofia originaria, il culto per la meditazione, il fluire di pensieri tipico, sempre di taglio umanista, i toccanti silenzi, l'ironia grottesca, la sensibilità verso il mondo ed anche un tocco metacinematografico.
Le ambientazioni trasudano quella semplicità spesso presente sulla carta stampata; Dog in questa pellicola è in trasferta in Italia, a Venezia, proprio come successe in un albo, ed è azzeccato anche il modo in cui lui e Groucho occupano la stanza assegnata, tanto per citare un dettaglio apparentemente marginale. A proposito dell'assistente Marx: interpretato da Walter Brocca, anche cosceneggaitore, oltre a rendere d'aspetto, riprende benissimo il tipo di composizioni delle frasi, e la sua voce, la sua cadenza e ciò che non potevamo percepire è resa in una maniera che può accostarsi all'immaginazione del lettore. Per certi versi è simile a quella dei doppiatori italiani del vero Groucho Marx statunitense.
Poi c'è l'ispettore Bloch e il suo british style, la tenebrosa Madame Trelkovski, ottimi cattivi e personaggi di contorno e la donna protagonista, bella, sfuggente e presa dal protagonista come succedeva agli originari amori dell'indagatore dell'incubo. Questi (un ispirato Frison, davvero "multiruolo" nella pellicola) scava nel petto di ogni fan quando è alla scrivania e a lume di candela, con tanto di penna d'oca e astrazione in perenna corsa. A tal proposito spezziamo una lancia a favore delle luci diegetiche e della fotografia (in HD) in generale, dello stesso Frison, pienamente sufficiente.
La trama è intricata, teniamo a precisar nuovamente il suo marcato carattere "spirituale", spalmata in più di due ore di film, ed è pregnissima di riferimenti, un vero bagno di passione; nomi e oggetti direttamente dalle tavole, inseriti in maniera congrua, in un filo onirico sempre teso.
A sorpresa, c'è stata anche la concessione per l'inserimento di spezzoni dal citato Dellamorte Dellamore, scelta che non aggraderà tutti, ma che dimostra coraggio e simboleggia ancora più devozione.
Dal 1986 ne è passato di tempo, ma finalmente ci siamo.

venerdì 17 agosto 2012

«Le donne sono esseri pratici che posseggono solo l'istinto di preservare i loro geni»

충녀 (Chungyo)
1972
Corea del Sud
Regia: Ki young-Kim
Scritto: Ki young-Kim, Sung-ok Kim

             «In tutti questi anni ho studiato gli insetti,
ed esiste il caso interessante di una femmina
che divora il proprio compagno dopo l'accoppiamento.
Ho osservato casi simili, in cui una femmina
logora un maschio, anche negli esseri umani».

Ricerca di dominio, sopraffazione sul "sesso forte" a scopo egocentrico, per guarire le proprie mancanze tramite una soddisfacente vessazione. Catturato un esponente nella tela, esso viene sollazzato,  non ci sia accorge che l'opera di cannibalismo è già iniziata.
Il signor Kim, uomo di mezza età, vive in una famiglia benestante, dove la moglie è la parte dura, i guadagni arrivano dalla sua dirigenziale attività lavorativa. Lei è ferrea e pragmatica, lui è ritenuto un fallito, vive di beneficio economico, in più non riesce neanche ad appagare desideri sessuali, essendo impotente. Impotenza simbolica, lui è un perdente in tutto. I figli paiono compatirlo, anche se hanno animi più sensibili, sono metafora della modernità, del cambio generazionale, più flessibili rispetto alla madre, infatti in principio paiono accettare la forma negativa del loro genitore.
A sconvolgere tutto arriva una giovanissima studentessa, appena diciannovenne e di famiglia disagiata, che, tramite un forzato lavoro d'accompagnatrice da bar, viene in contatto con Kim diventandone la concubina, in un torbido patto in cui la moglie "ufficiale" accetta di spartire l'amato perché tramite la giovane l'uomo ha ritrovato capacità sessuale. Divideranno cinicamente la "preda", metà giornata l'una e metà l'altra, ma la cosa non sarà comunque affatto facile da gestire.
Ki young-Kim parte dal suo capolavoro, Hanyo (The Housemaid, 1960), padre di due chiari remake, e propone il tema anche con una forma leggermente differente, facendo venir fuori questo The Insect Woman, tra l'altro nuovamente riproposta dallo stesso Kim nel 1985, con il film Yukshik dongmul.
Se la trama sta così tanto a cuore, non deve sorprendere che il formalismo ha comunque le redini, partendo da una fotografia che alterna le luci secondo le emozioni presenti, con l'impegno dello stesso regista ad allestire il set personalmente. C'è un dominio di focoso rosso e di riflessi, importanza per le illuminazioni diegetiche e per la profondità di campo, con il fondo che può anche essere fondamentale, come un'incursione nell'animo, leggermente nascosta, perché si nota la presenza di un rappresentativo prop non a fuoco che copre parte dell'inquadratura. Le angolazioni sono ricercatissime, scandagliano le personalità dei singoli da inaspettati lati, perché tutti hanno un lato oscuro. A violentare una struttura lineare arrivano degli elementi che paiono parto di una realtà parallela, quali un ambiguo bambino che poi diventerà fondamentale, fantasmi e situazioni da giallo nonché da horror, che rompono lo schema classicamente realista. La casa dove l'uomo vive con la concubina è essa stessa un folle contenitore di angosce, con spaventosi accessi e cardini di potere, le riprese dal piano superiore aiutano lo spettatore a calarsi nell'antro malefico.
Ossessivo il calcare la mano sulla tematica della riproduzione umana, invasiva e succhia sangue, così come sulla rappresentazione di una Corea del Sud in costruzione, che si vorrebbe costruire su società "occidentalmente" maschilista, ma la realtà, come si vede, è ben diversa.
È bellissima Yeo-jeong Yoon, che offre giovinezza all'uomo, voluttuosa carne e caramelle. È affascinante nel suo tic facciale, che ricorda proprio il movimento della bocca di un insetto, di una mantide.

domenica 12 agosto 2012

da dietro una porta

Videohunter
Episode One
Murder on Eisenstein St.
2012
Russia
Regia: Bakshaev
Scritto: Robert Monell

Strade che prendono una piega anomala, straniamento.
Si inizia con una telefonata. Tutto sembra nella norma, scorre la vita lavorativa, fra innovazioni tecnologiche e metodi tradizionali. Una normalità comunque tinta di giallo, c'è una tensione sottile, man mano crescente. Poi arriva l'inaspettato, il criminoso si lega con l'empatico, psicologia di gesti, suoni e silenzi. Momenti alienanti, stordimento, nello stesso tempo percezione profonda dell'umano.
Ennesimo colpo a segno di Bakshaev, che mette in scena in maniera magistrale la prima puntata di una web serie scritta da Monell.
Fotografia torbida, ricca di luci e penombre, recitazione compassata (brava Eugenia Vinnik), come richiesto dal tipo di cortometraggio, citazionismo di classe.
Ancora una volta fondamentale l'apporto di Alexander "FLE" Zhemchuzhnikov alle musiche.
Per attimi si respira Godard...

martedì 7 agosto 2012

endocrinologia della NEP

Continua il mio personale percorso nella filmografia fantascientifica "socialista", sempre ospite dell'appassionata blogzine Il futuro è tornato.
Torno, come già successo anche qui sul mio sito, a riferirmi al notissimo Michail Afanas'evič Bulgakov e al suo intenso romanzo Cuore di cane, affascinante come libro ma degno anche in un paio di trasposizioni visive. Una è stata prodotta dalla stessa patria della scrittore, l'URSS, con regia di Vladimir Bortko, ed è proprio quella trattata nell'articolo.

sabato 4 agosto 2012

armonioso insieme

Femmes émancipées
1901
Francia

Che dolce questa emancipazione, lontana anni luce da quella presunta di certi luoghi, dalle nudità non assaporate ma soltanto vendute, dell'interiorità esposta ai quattro venti e violentata, spogliata di valore.
I primi del Novecento non erano di certo migliori dal punto di vista della posizione della donna, ma se i tanto sbandierati passi fatti sono cose tipo gli esempi suddetti è palese che non è cambiato davvero nulla.
Il cortometraggio è uno sfoggio di alta tecnica, un grosso gruppo di foto 35mm messo insieme su caricatore e visto come un film tramite una macchina precorritrice chiamata Théoscope, antesignano dei nostri sistemi home theater.
Un grazie alla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia per il recupero.

mercoledì 1 agosto 2012

sprazzo di Terayama no. 7

消しゴム (Keshigomu)
1977
Giappone
Regia: Shûji Terayama
Scritto: Shûji Terayama

Perché il cancellare è un qualcosa di così difficile? Perché, quando presente, viene difficilmente accettato?
Il figlio, il fratello o compagno, è partito per mari, la madre-sorella-compagna si strugge.
Si vorrebbe congelare la sua immagine, per sempre, ma il destino è nel rimuovere.
Strappare in mille pezzi la parte del cervello dove risiede il suo ricordo, eliminare il suo viso dai propri occhi.
Continuare a cercarlo sarebbe un brancolare nel vuoto, un rimuginare ossessivo sui tempi passati, annullare la fierezza della persona che fu, rendendola nuda ed inerme.
La macchia si estende.
Il mare ha chiamato, ha risucchiato il tempo.
Arriva Colei e si torna a giocare felici.