Matka Joanna od aniolów
(Madre Giovanna degli angeli)
1961
Polonia
Regia: Jerzy Kawalerowicz
Soggetto: Jaroslaw Iwaszkiewicz
Sceneggiatura: Jerzy Kawalerowicz, Tadeusz Konwicki
Facciamo un salto dal capitolo 6 di
Häxan alla Polonia del XVII secolo.
In un convento di monache v'è l'amore, perché esso è il naturale fondamento di tutte le cose di questo mondo. Quando prende una direzione, qualsiasi essa sia, può soverchiare di tutto, anche un ordine religioso, come quello qui rappresentato. Le anime si innamorano di una angelo, Satana, e amano, amano, anche il curato Grandier veniva amato, poi condannato al rogo perché parte di quella passione. Persino durante la condanna si continuava, perché, mentre le fiamme bruciavano dall'esterno, dall'interno divampata il sentimento, i vestivi bruciavano o venivano strappati, ultimo atto terreno per il religioso.
Poi arriva un gruppo di quattro frati esorcisti, impegnati a liberare le monache nei modi più conosciuti, con la fede e con i riti, anche davanti alla gente, perché solo vedendo il Diavolo all'opera si può conoscere la vera fede, a detta loro.
Arriva anche padre Jozef Suryn, dopo un'intera stagione di penitenza, ma nonostante ciò è timoroso, si rende conto della grandezza del compito; il suo è più centrato, dovrà assistere personalmente la madre superiora Giovanna degli Angeli. Il nome è adatto, perché anche lei è innamorata di un angelo, come dice il rabbino con cui Suryn si consulterà, che non è nient'altro che lo sdoppiamento del suo io, vivo quando i dubbi che la sua strada cristiana non sia quella giusta sopravvengono. Per la sua metà, Suryn ha reverenza e critica, fiducia e odio per quello che gli dice, perché gli mette davanti pericolose realtà.
Jozef, appena arrivato, era stato ben inquadrato dall'abitante del posto più schietto, Wincenty Wolodkowicz, che rideva della sua umiltà, chiedeva alla locandiera Antosia di predire al padre il futuro, ma che egli stesso aveva già intuito, tutti hanno un destino e quello del padre era forse scritto. Wolodkowicz è un libertino, con un'autonomia da vincoli che lo farà rimanere rozzo, ma non trasportabile dagli eventi, al contrario degli altri villici, pur sempre timorosi (ma anche attratti) delle spire del Demonio, specialmente il giovane Juraj, vittima predestinata di alcuni mali.
Chiave di volta può essere sorella Malgorzata, unica non indemoniata. Lei non si fa scrupoli a farsi tentare (ed a tentare, oh, se lo fa!) al di fuori del convento, specialmente da un incognito viandante che appare ad un certo punto. Quindi, unica a non essere oppressa dall'occlusione monastica... Ma quanto è giusto spingersi oltre, qual è il confine fra bene e male, come bisogna vivere la vocazione? Forse lei è, in seguito, andata troppo in là? Oppure la realtà è quella nominata dai locali, cioè che anche lei è stata presa nelle grinfie dei demoni? Si redimerà, si pentirà del suo passo avventato e tornerà a vestire il bianco dell'abito religioso. A proposito di questo: da candido e casto sa diventare anche un forte ed ipnotizzante strumento visivo, basta guardare la sequenza dell'esorcismo in chiesa da parte dei quattro frati, le scene di isteria, oppure il primo incontro fra madre Giovanna e padre Suryn; il bianco pare vivere di vita propria, è un serpente strisciante. Ma non per questo, in altri momenti, viene meno alla sua funzione "castrante": dà luminescenza alla posizione della croce assunta dalle monache, sempre nella sequenza dell'esorcismo, ed è ultimo baluardo fra i due protagonisti nella terrazza del convento, in più viene messo da parte quando sorella Malgorzata vive la sua storia.
Ma torniamo al plot. Padre Suryn, ormai leso nel fisico e nello spirito, avrà finalmente modo di aiutare Madre Giovanna (in un modo simile a
L'esorcista, anche nell'evolversi di una scena) e saprà anche evitare che il Male ritorni in lei...
C'è un'immensa arte visiva, vicina a Carl Theodor Dreyer per molti punti di vista, ad esempio l'uso ultra espressivo del primo piano, ma anche primissimo e mezzo busto. Emotività fortissima anche nei momenti di presunto immobilismo, si parla d'anime e noi arriviamo a vederle attraverso gli occhi degli interpreti.
Se il sunnominato
L'esorcista, riprendendo dei temi qualche tempo dopo, farà un uso sconvolgente del make up, qui non ve n'era bisogno. Però fra i due film c'è in comune anche la "spider walk", ripresentata in film e romanzo di William Peter Blatty (ed altrove anche anni prima)...
Ma il clou tecnico arriva dal magistrale uso della soggettiva, un vero nervo ottico per noi, naturalissima e ben alternata con gli altri piani, spcialmente ravvicinati.
Ottimo il rapporto fra il direttore della fotografia Jerzy Wójcik, premiato in vari concorsi, e Kawalerowicz, che è stato fondatore della Stowarzyszenie Filmowców Polskich.
Omaggiato con il Premio Speciale della Giuria a Cannes, si dice sia ispirato al romanzo, influenzato da un fatto reale,
I diavoli di Loudun, di Aldous Huxley.
Dedykuję ten film przeglądu dla moich czytelników, Judka.