(L'uomo con la macchina da presa)
1929
Unione Sovietica
Regia: Dziga Vertov
Scritto: Dziga Vertov
Regia: Dziga Vertov
Scritto: Dziga Vertov
Si apre il diaframma come l'occhio umano al mattino, quando tutto ancora è calmo e il sole illumina gli ultimi scampoli di sonno. L'occhio meccanico è parte di questa realtà, anch'esso inizia ad adoperarsi per prendere parte al mondo e poi riportalo su pellicola, così com'è. La sua preparazione è come la vestizione umana, il dilatarsi della sua meccanica come una tapparella di un'abitazione. È la realtà.
In L'uomo con la macchina da presa non esistono intertitoli, né sonoro né trama, o meglio, lo scenario è lo scorrere quotidiano della vita, in questo caso nella città di Odessa, con la sua estetica spesso inesplorata, banale per i nostri animi assuefatti, ma che con un'attenzione maggiore brillerebbe sotto molti aspetti.
Qui c'è testimonianza della poesia dei mezzi di locomozione, dei macchinari in movimento, delle catene di montaggio, misti alla folla, perché anche l'azione degli esseri umani è una meccanica. Poi ci sono le carrozze, che uniscono organico e congegno, lo sport, con gli uomini e le loro "estensioni", cioè gli attrezzi come l'asta per saltare o il martello. Stessa importanza viene data ai materiali immobili, quindi alle immagini statiche, contemplando una vetrina, una cassetta postale o un'insegna che parla e non ha bisogno di ulteriore spiegazione, tutto al presunto servizio di un socialismo che poi effettivamente non era stato raggiunto.
Come mostrato tramite questa corrente, il Kinoglaz fondato da Vertov stesso, essendo la camera e la tecnica cinematografica stesse parte del sistema, non si risparmiano effetti d'avanguardia purissima, come mostrare i singoli fotogrammi in pausa, il ralenti, viceversa, le immagini accelerate, le sovrimpressioni, dove gli elementi formano un quadro di grande effetto, addirittura lo "split screen", cinquant'anni prima di essere apprezzato in un, ad esempio, De Palma.
L'operatore, che viene anche ripreso da un'altra camera perché, come detto, è anche lui un operaio a lavoro, è Mikhail Kaufman (anche direttore della fotografia insieme a Gleb Troyanski), fratello del regista, che si impegna in riprese di un dinamismo sfrenato: in bilico su un'automobile in corsa, di fianco, sotto o a bordo di un treno, in moto, fra dei tram, su alture, sbilenche; l'occhio ha fame di realtà, compresa quella più triste. A proposito: siamo nel periodo della cementificazione della teoria sovietica del montaggio, di cui Dziga è largo esponente, e la cosa è visibilissima in questa pellicola, dove la composizione mostra una dialettica del vissuto, con la gioia e la tristezza contrapposte, la vita e la morte. A testimoniare non l'importanza, ma la totale reverenza a questo mezzo, sono comprese sequenze in cui è all'opera la montatrice con pellicola e strumenti, Yelizaveta Svilova, moglie del regista, che vanno quindi a formare il quadro completo del realismo in tutte le sfaccettature, dov'è bandita la finzione e si va oltre la metacinematografia. Tempi anche del "montaggio delle attrazioni" formulato da Ėjzenštejn, quindi abbiamo delle immagini caotiche una appresso l'altra, per dare idea di caos metropolitano, che spingano lo spettatore ad emozionarsi.
Abbiamo prima accennato dell'esistenza nel filmato di visioni tristi, che possono essere, tanto per dire, gente disagiata in strada: curiosa la presenza, trattandosi di un qualcosa che suscita negativo pensiero sociale, ma legittima, essendo Vertov convinto sostenitore, nella sua ottica, dell'ideologia comunista, ha definito importante anche proporre i problemi comunque esistenti. L'artista non fu comunque esente da oscurantismi, le autorità di quello che era già allora pieno "capitalismo di stato" non ebbero sempre simpatia per il suo operato.
Nel finale la cinepresa diventa ancor di più protagonista, in una favolosa sequenza d'animazione a passo uno, una vera e proprio danza del mezzo addetto alla costruzione visiva; si può definire un sentito omaggio per essa.
E mentre lo spettatore continua a guardare la concretezza dell'oggettivo su schermo, l'otturatore si chiude sul diaframma e così anche il "Cineocchio".
Non posso non commentare uno dei film che ancora oggi più mi appassionano, visivamente e concettualmente.
RispondiEliminaLa fluidità con cui Vertov presenta le sue immagini mi ha sempre fatto immaginare il regista in giro non con una vecchia macchina da presa, ma con un piccolo strumento di ripresa, agile, in grado di poter entrare in tutte le pieghe della realtà. Non era in verità così: era la mente di Vertov (e quella di Ejzensteijn) ad essere agile e a possedere una lungimiranza tecnica e poetica che molti registi oggi non possiedono.
Grazie per aver ricordato L'uomo con la macchina da presa (suona quasi come una naturale estensione fisica del corpo umano, questa macchina da presa!).
Ehilà giovincello, non mi puoi cacciare un Vertov così senza sperare di rimanere impunito. :)
RispondiEliminaLa prossima volta voglio IL DECALOG di K. :)
Standing ovation per te. :)
e qui parli di un Capolavoro vero, una delle punte inarrivabili di quest'Arte.
RispondiEliminaStoria del cinema con la S maiuscola.
Questa pellicola ha segnato in maniera significativa i primi mesi all'università (oddio mi sembra sia passato un secolo) e ti dirò, al primo acchito l'ho odiato, poi mi sono invaghita, più studiavo e più questo rapporto di amore/odio si faceva sottile. Poi l'ho adorato. Poi avrei preso a cazzotti lo schermo. Forse è per queste emozioni che resta un film significativo nella storia della mia vita?! Ciao!
RispondiElimina@Veronica: ottima annotazione. La loro mente andava ben oltre le tecnologie del tempo, tutto poi con un fine specifico, una linea filosofica impensabile oggi. Grazie a te per le belle parole su di un film che amo, anch'io considero la loro macchina da presa come un'estensione organica. :)
RispondiElimina@Nick: eheheh, sapevo che era roba di tuo gusto! A Kieślowski sto pensando da tempo, qualche rigo ci sarà, molto probabilmente.
@Melinda: sicuramente all'università, di altri contesti te ne ricorderesti. Metabloglinguaggio! :D
Grazie!
@Einzige: sai che ho sempre timore reverenziale quando parlo di un Vertov o un Ejzensteijn? Ho sempre il timore che le parole non bastino...
@Nora: si vede che ha funzionato in nel modo che si intendeva, cioè mostrare la realtà, ed essa ti fa questo effetto! Eheh.
Non so che dire...mi inchino e basta. è stato vedendo questo film la prima volta, all' università, che mi è venuto in mente che forse, sì, avrei potuto fare il montaggio della mia vita.
RispondiEliminaMi sa che anch'io l'avevo visto all'università, ma ammetto di non ricordarmelo benissimo. Ne approfitto per metterlo in lista e fare un bel ripasso. Grazie! :)
RispondiEliminaMy composer Alex Zhemchuzhnikov also recommended that I watch Человек с киноаппаратом, he really liked it.
RispondiEliminailgiornodeglizombi: vero, c'è solo da inchinarsi.
RispondiEliminaComprendo i tuoi rimorsi, ma è pur vero che nei tempi di oggi certe sperimentazioni, temi del genere sono meno apprezzati, quindi uno magari si forma in un certo modo e poi è costretto a buttare tutto il lavoro...
moderatamente ottimista: sono film che non perdono nulla nelle visioni successive! :)
Alex: I remember Alex Zhemchuzhnikov, he gave you good advice, like you too!
Finalmente ho visto questo film, è molto originale. Alcune scene sono fantastici! Hora voglio rivederla con colonna sonora diversa
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