OCCHIO: degustazione, esegesi...   ESPRESSIONI: visioni, letture, arte...

venerdì 1 luglio 2011

inserto

i
2007

Regno Unito
Regia: Luke Losey

Scritto:
Luke Losey

Occhio sulle espressioni propone un corto dove è protagonista un occhio umano, attore unico.
Completa dedizione al dettaglio, luci, rumori fuori campo e... basta, tutto qui, e ne è venuto fuori un thriller altamente emotivo. Ci ha messo del suo anche la pupilla e il naturale sistema neurovegetativo, tocco di autentica naturalezza in fiction.
Un omaggio all'organo tanto considerato da cineasti di ogni sorta, specchio dell'anima e rappresentante d'emozioni.

domenica 26 giugno 2011

fascino dall'aldilà

倩女幽魂 (Ching nu yu hun) 
1960

Hong Kong

Regia: Han Hsiang Li
Scritto: Songling Pu, Yue-Ting Wang

Il cinema di Hong Kong andrebbe riscoperto soltanto per il suo animo eclettico, ha saputo infatti fondere diversi generi con grande maestria: horror con forti elementi d'azione, wuxiapan con tratti macabri ed altro. Ching nu yu hun è un mix di fantastico, sentimentale ed orrore, con una storia di Songling Pu ripresa poi anche nel più celebre e recente Storia di fantasmi cinesi, primo di una trilogia di cui probabilmente parleremo anche in futuro.
Soave, con il suo incedere lento che però non annoia, merito anche della viva fotografica che trasporta lo spettatore in un ambiente etereo e fiabesco. Questo, che varia di scelta cromatica secondo tensione e calore del momento, è palesemente "cartonato", ma ciò non influisce affatto sulla resa. Parrà un accostamento anomalo, ma a tratti sembra di vedere comunanze con i lavori più noti del maestro Mario Bava.
I costumi ed il trucco dal sapore tradizionale ornano i frequenti primi piani, mezze figure, mezzi busti e, tecnica non sempre sfrutatta a dovere, piani americani, in questo caso fondamentali per l'ammirazione delle vesti. Alle seguenti maestrie aggiungiamo anche la professionale gestione delle carrellate; niente zoom esagerato tipico del periodo!
La storia parla di spettri capaci di amare esseri umani e demoni che invece fanno loro del male, con eroi pronti a risolvere le brutte situazioni.
Prodotto dallo Studio Shaw, che con i suoi film di kung fu e wuxia, è diventato il simbolo del cinema hongkonghese.
Conosciuto con il titolo internazionale di The Enchanting Shadow e, nonostante la lingua principale di Hong Kong sia il cantonese, l'audio è in mandarino.

martedì 21 giugno 2011

Rapporto Confidenziale - giugno 2011


Nuova uscita di Rapporto Confidenziale, rivista di cultura cinematografica di cui si è parlato post addietro. Chi scrive è presente con una recensione di Dyal Dog: Dead of Night, il deludente film ispirato al personaggio Sclavi.

Buona lettura.

domenica 19 giugno 2011

letture fra sonno e veglia

Prezít Svuj Zivot (Teorie a Praxe)
2010
Repubblica Ceca, Slovacchia, Giappone
Regia: Jan Švankmajer
Scritto: Jan Švankmajer

Ultima prova del maestro, presentata da egli stesso a Venezia 67, in anteprima mondiale.
Come da opera venuta fuori da un rappresentante della corrente surrealista conviene, è una rappresentazione dell'unicità tra sogno e realtà, saldamente legati e comunicanti, con il protagonista che vive una relazione indotta dal sonno ma coincidente con la materialità. Švankmajer si ripropone nuovamente, dopo Sílení, in un prologo metacinematografico in cui illustra ciò che andremo a vedere, compresa la tecnica d'animazione utilizzata, e lo fa ironizzando, nonché spiazzando lo spettatore, che non avrà modo, se giustamente posto, di catalogare il film sotto una tematica. Jan la chiama commedia psicanalitica, ma il termine nasce solamente dal fatto che vi è uno psicanalista; è tutto automatismo, inutili sono gli sforzi di esegesi. Curioso come anche nell'introduzione stessa compaiano i tratti svankmajeriani, come l'infanzia, e elementi della pellicola, vedi l'impossibilità dei sogni di essere capitalizzati.
La citata tecnica è il "cutout", collage di foto poi animato a passo uno, una sorta di richiamo alla tradizione da parte dell'artista, forse ancora più libertina rispetto agli effetti delle precedenti produzioni. Ne è venuto fuori qualcosa di preciso, cosa essenziale per descrivere il perenne processo di inconscio/realtà.
Di gran stimolo continuano ad essere gli oggetti, sempre carichi delle emozioni vissute precedentemente, utili e cruciali nell'avanzamento dei protagonisti. Stessa cosa per i suoni, e vitale la comunicazione tattile, le composizioni delle superfici spadroneggiano e sono percepibilissime anche senza avere la possibilità reale di usufruirne.
Esempio di rappresentazioni: angurie, simbolo della rivelazione, del lasciarsi andare; uova, strumento di collegamento della coincidenza del sogno con la realtà. E ricordiamo anche che, come diceva Georg Christoph Lichtenberg, solo l'unione di questi ultimi due elementi può creare la pienezza della vita umana.

Moviement Magazine
Jan Švankmajer

Autori vari
Gemma Lanzo Editore

Si vuole ricordare che è disponibile da qualche mese questa pubblicazione, quasi l'unica in lingua italiana dedicata al maestro e di gran rilievo per i contenuti. Oltre al saggio di apertura del sottoscritto vi sono dei testi di sommo interesse: l'essenziale articolo di David Sorfa (L'oggetto del film in Jan Švankmajer), utile per scoprire gli stilemi del mondo di Jan, quello di Timothy R. White e J. Emmett Winn, Il domani potrebbe salvarti. Jan Švankmajer e le storie di Edgar Allan Poe, che si focalizza sulle produzioni ispirate allo scrittore di Boston, ma spiegate meglio grazie ad un affondo nelle realtà storico culturale del tempo, Michael O'Pray con la ricorrenza di Rodolfo II e Arcimboldo (Jan Švankmajer e l'effetto Arcimboldo) e una dotta "lezione" di Adrian Martin, assimilabile avendo alcune delle pellicole materialmente davanti. Poi c'è l'introspettiva analisi di Prezít... a firma di Michele Faggi (Discesa all'inferno e resurrezione. Lo spazio tra sonno e veglia in Surviving Life, Theory and Practice) ed un gran finale: l'intervista dell'artista da parte di Peter Hames e il suo decologo, in esclusiva per il libro/rivista!

lunedì 30 maggio 2011

in maschera e non

Skizofrén
2010
Ungheria
Regia: Tamás Sáros
Scritto:
József Gallai, Tamás Sáros

Un breve esempio di come le nuove tecniche cinematografiche possano essere utili a descriverci determinati aspetti della trama, quelli più inconsci: transizioni "a lampo", accelerazioni e definizione digitale dei dettagli rendono l'idea di ciò che costruisce una mente come quella del soggetto del cortometraggio qui in esame. Purtroppo l'abuso è dietro l'angolo, siamo ormai abituati a vedere tali applicazioni, prevedibilmente l'originalità viene meno. Visione utile a chi vuole cimentarsi nel produrre lavori simili o a chi vuole imparare per completezza personale, ma se si è alla ricerca di qualcosa veramente d'effetto è bene cercare altrove.

venerdì 27 maggio 2011

rituali balinesi

Leák
1981

Indonesia
Regia: H. Tjut Djalil

Soggetto: Putra Mada
Sceneggiatura: Jimmy Atmaja


Per la fortuna di chi è alla ricerca dell'insolito, la produzione cinematografica non è emersa solo da Stati Uniti, Italia o soliti altri Paesi, ci sono altre zone del mondo che hanno fornito un valente contributo alla causa. Una nazione popolosa e ricca di tradizione come l'Indonesia non poteva esimersi, e la pellicola in questione tratta proprio di leggende del posto, precisamente dell'isola di Bali. Si tratta il "Leyak", figura mitologica composta da una testa fluttuante con organi vari pendenti, in costante ricerca di donne incinte cui rubare il bambino o il sangue di esso. Il film, tratto dal romanzo Leák Ngakak di tal Putra Mada, rende bene l'idea della cosa, grazie anche all'aroma esotico che si respira, ma la realizzazione globale è appena sufficiente, rientrante, secondo alcuni, nell'insieme del cosiddetto trash, indicazione poco precisa che qui sarà sempre osteggiata. L'insolito impianto può far apparire a noi occidentali ridicole alcune sequenze, e gli effetti ci mettono del loro, arrangiati alla meno peggio, però non distantissimi da quelli buffi presenti in centinaia di lavori dello stesso periodo, italiani compresi. Se la cavano, invece, il reparto make up e la fotografia, esperienza tecnica ve n'è, lo spazio nei campi è curato, e l'effetto migliore proviene dalle scene al buio.
Sopra le righe la maggior parte delle interpretazioni, la cosa è però lecita visto che si parla di allucinati riti di magia nera, dove l'invasamento è all'ordine del giorno.
La volontà di non rovinare la sorpresa ci porta a non svelare dettagli interessanti, che fanno l'opera almeno varia e non di certo noiosa.
Conosciuto anche con il titolo internazionale di Mystics in Bali.

domenica 22 maggio 2011

un opuscolo che scivola sotto una porta

Racconti agghiaccianti 
Gustav Meyrink
Newton Compton Editori


Non è un mistero che qui ci dilettiamo a scavare nei meandri di vecchie pubblicazioni, riproponendole, per volontà di non perdere pietre miliari letterarie o semplicemente cose di nostro gusto, purtroppo non più ristampate. Che miniera erano i tascabili Newton da cento pagine, meriterebbero uno speciale tutto loro!
Ora parliamo di Meyrink, nativo austriaco però influenzato dalla permanenza praghese, conosciuto ai più come autore de Il Golem, ma creatore di romanzi altrettanto validi, nonché di racconti brevi sicuramente da prendere in considerazione. In questo volumetto ne troviamo pregevoli esempi.
Difficile sceglierne un preferito, ma la laida atmosfera de Il gabinetto delle figure di cera o la visionarietà della festa di Danza macabra rimangono bene impresse. Il primo tra l'altro ricorda, per certi versi, il suo quasi omonimo cinematografico, Il gabinetto del dottor Caligari, mentre, inaspettatamente, non c'entra nulla con l'opera di Paul Leni dallo stesso titolo, scritta dal grande Henrik Galeen. Non da meno è il claustrofobico scantinato di Le piante orribili, storia onirica e allucinante, così come L'urna di S. Gingolph, più propriamente d'orrore, dagli echi simili a quelli dei colleghi di Gustav più incentrati sulla narrativa di genere. Ma Meyrink era valente anche nella satira, con l'esercito che ne rimaneva spesso vittima: è il caso di I cervelli e Castroglobina, probabilmente "utili" ancora oggi... Nuovamente toni grotteschi con Il segreto del Castello di Hathaway, e un finale che vale l'intera lettura; forse il maggior esempio del volume su come poter coniugare linee tetre e risvolti umoristici.
La maschera di gesso, Il Bramino, L'anello di Saturno contengono tutti vicende legate a congregazioni, evidente specchio di esperienze dello scrittore in campo esoterico. Spaventoso e sentenzioso il primo, riflessivo il secondo e magicamente potente il terzo.
Vista la reperibilità del libretto, se ne consiglia la lettura come assaggio delle grandi doti dell'autore, del suo particolare stile, magari senza farsi influenzare totalmente dal titolo un po' fuorviante; come detto, si spazia molto rispetto a canonico orrore.

martedì 17 maggio 2011

non solo kiwi

Larger Than Life
1998
Nuova Zelanda

Regia: Ellory Elkayem

Scritto: Ellory Elkayem


Prodotto che fa rivivere le emozioni degli eco-venegance anni Cinquanta, dichiaratamente ispirato a titoli come Tarantola, Radiazioni B X: distruzione uomo e Assalto alla terra.
Una bella fotografia in bianco e nero ci parla dei classici ragni contaminati e divenuti giganti, con uno stile essenziale e pulito, con il pregio di effetti speciali di tutto rispetto, che richiamano quelli dei film a cui si rifanno. Prove attoriali marcate e un filo sopra le righe, che coadiuvate da musichette utili allo scopo (sempre di stampo Sci-Fi fifties) e comportamenti degli aracnidi volutamente esagerati e inverosimili danno quel tocco cartoonesco che personalizza la pellicola su uno stile farsesco.
Presentata ad un festival nel Colorado, viene notata dai produttori Dean Devlin e Roland Emmerich, e da lì nascerà la volontà di produrre il successivo e fracassone, di uno stile che noi apprezziamo molto meno, Arac attack - Mostri a otto zampe.
Nota: la carriera registica di è Elkayem quasi totalmente votata al fanta-horror.

sabato 14 maggio 2011

i mozzztri

Maledette zanzare
Simone Corà
Edizioni XII

Zanzare. Quanti hanno provato il fastidio della loro presenza, incombente in larghi ambienti esterni o fin dentro l'intimità del proprio letto. Ma qui si parla di una forma ben superiore a quella che conosciamo, al di sopra del semplice fastidio di una puntura e del prurito...
Simone Corà, vecchia conoscenza del sottobosco letterario italiano, quello dove la passione supera nettamente la volontà di lucro, è al suo primo romanzo, anticipato da racconti apparsi un po' ovunque e collaborazioni all'interno di situazioni più stabili, come la casa editrice XII, esaminata spesso su questi lidi.
Il libro è una miscela esplosiva, colma di pura azione, di estremo splatter e di impronte pulp, linguaggio in primis. Il ritmo tiene per l'intera lunghezza del tomo, questo è il pregio più grande, nonostante la storia sia dislocata su più storie parallele, comunque sempre legate da un filo conduttore. I personaggi sono ben resi, qualcuno volutamente più stereotipato, per proporre al lettore qualcosa di empaticamente fruibile, che vada subito a posizionarsi nella lista delle sue simpatie; altri decisamente inediti, con sfaccettature psicologiche ben delineate. Andando avanti con i pregi segnaliamo un altro asso nella manica del Corà: il fattore sorpresa. Diverse volte accade qualcosa di inaspettato, non prevedibile come certi tipi di storie ci hanno insegnato, e senza alcun timore vengono tranciate ragnatele emotive tessute nella testa e nel cuore del lettore.
A beneficiare di tutto questo possono essere i fan dell'horror puro, così come quelli della fantascienza o del fantastico, della narrativa d'avventura o del succitato pulp, troviamo infatti similitudini con i lavori di Joe R. Lansdale, essenzialmente quelli d'orrore e brevi, e con il cinema di Robert Rodriguez, anche per via della presenza di una spessa vena comica, utile deliziare i cultori del grottesco e ad alleggerire situazioni truci. A contrapposizione di quest'ultima caratteristica però c'è da segnalare anche una non indifferente base più profonda, una buona idea, che riesce anche a dividere spazio con leggeri sentimentalismi. Di rilievo anche la connotazione provinciale e agreste, rivoluzionario è lo scenario veneto, con proposta di ambienti reali.
Difetti? Problemi? La parte finale si fa un filo più ostica, al lettore è richiesta maggiore attenzione per seguire gli eventi, come se delle ellissi temporali lo smarriscano. A tratti pare anche che ci sia stata volontà di chiudere più di fretta determinate situazioni.
Tecnicamente siam ben messi, con buon uso della punteggiata, anche molto personale.
Se questo è l'underground italiano, speriamo che salga sempre più alla ribalta...
L'opera è disponibile in formato eBook, acquistabile su più piattaforme e leggibile con software free. Noi abbiamo usato Adobe Digital Editions, stampandolo anche comodamente su carta.
http://eshop.xii-online.com/store/information.php?info_id=28
Booktrailer

sabato 7 maggio 2011

primordi

突貫小僧 (Tokkan kozô)
(Bambino che non si ferma mai)
1929

Giappone

Regia: Yasujirô Ozu

Soggetto: O. Henry,
Chuji Nozu
Sceneggiatura: Tadao Ikeda


Una delle prime pellicole, che iniziarono a sbocciare nel 1927, del maestro del realismo Yasujirô Ozu. Pervenuta a noi incompleta, ne rimangono solo 14 minuti, pochi per un parere di un certo spessore, ma sufficienti per capirne bene o male i meccanismi.
Un duo di rapitori di bambini tenta l'ennesimo colpo, ma la fortuna non li assiste, incapperanno infatti un soggetto pestifero che li farà impazzire.
Decisamente più leggero rispetto alla profondità di opere immense come Viaggio a Tokyo o Il gusto del sakè, ma già chiaro nel voler rappresentare lo spirito del regista. Evidente l'ispirazione dal cinema occidentale in voga a quel tempo, precisamente quello comico con esponenti quali ad esempio André Deed per l'Europa o Buster Keaton per gli Stati Uniti; parliamo quindi dello "spalstick". Da ricordare che il soggetto si ispira ad un'opera dell'americano O. Henry. Divertimento però, come detto, condito dal voler rappresentare una realtà credibile, gag a parte, come quella della vita quotidiana dei bambini o di persone adulte.
Fotografia acerba, sotto l'occhio di Hiroshi Nomura, senza ancora i tocchi stilistici che hanno caratterizzato la carriera di Ozu, esempio le mezze figure frontali. Montaggio analitico completamente asservito al realismo.
Qualche anno più tardi sfornerà un altro film in cui sono protagonisti dei bambini, tra l'altro utilizzando lo stesso attore qui protagonista, Tomio Aoki: Sono nato, ma..., ennesimo suo capolavoro.

martedì 3 maggio 2011

farsi sparare divertendosi

SPARATE SUL REGISTA!
Personaggi e storie del cinema di exploitation
Alberto Farina

Editrice il Castoro


La scarsa reperibilità di pellicole basate su genuina exploitation in Italia equivale a quella del cartaceo che descrive lo stesso genere. Nel 1997 però Alberto Farina provò, con ottimi risultati, a dare il suo contributo per colmare degnamente la lacuna; mai nome più adatto per un'infarinatura, ed anche più, su quell'affascinante mondo sotterraneo. La sua pubblicazione ci parla di esso, ma "full optional", narrandoci anche della vita fuori dal set di chi ne ha fatto parte, spesso fuori dalle righe quasi quanto un loro film. L'approccio è appassionato, realista nell'individuare in quel cinema diverse idee che saranno poi sfruttare da chi può far leva su ingenti risorse economiche, ma anche obiettivo nel definirne i limiti, senza i sensazionalismi forzati di diverse riscoperte di generi un tempo denigrati.
Dopo una breve introduzione, nientepopodimeno che di John Landis ed un convinto intervento di Samuel L. Broncowitz si entra nello show, e il Caronte è uno degli esponenti più noti del genere: Edward D. Wood. Tra tutti i profili tracciati da Farina è probabilmente quello più amaro, dove gli aneddoti divertenti passano in secondo piano rispetto alla sciaguratezza di alcune situazioni; comunque viene fatta buona luce sul fenomeno Wood, spesso liquidato malamente da chi parla per sentito dire e per frasi fatte. Corposi e profondi sono anche gli articoli sugli "indispensabili" Russ Meyer e le sue sinuosità femminili, Herschell Gordon Lewis e il culto del gore, Ray Dennis Steckler e l'arte di arrangiarsi, l'estroverso Ted V. Mikels, John Waters, Andy Milligan ed altri, con sortita speciale per il guru dell'ambiente Jesús Franco.
Rilievo anche al lato produttivo, con Roger Corman e le sue factory, e, nella parte finale dedicata al periodo dagli Ottanta in poi, anche sulla Troma. Evidente quindi anche un'incursione su un periodo più recente, dove l'exploitation per com'è maggiormente conosciuta aveva quasi smesso di esistere.
Occhio anche su particolari situazioni, come il parallelismo fra il mondo della Lucha Libre messicana e i suoi eroi dediti al cinema, in primis El Santo, sulla saga dei pomodori assassini e, interessantissimo, sugli stratagemmi da sala cinematografica che facevano da contorno alla pellicola: gadget, effetti sonori, artifizi visivi e invenzioni di ogni genere.
Chiude un'intervista al nostro Joe D'Amato, che snocciola dettagli da far gola a qualsiasi fan del "di genere".
Il libro è ancora reperibilissimo, la scoperta d'esso è consigliata, visto che siamo ancora in un periodo dove grandi nomi, vedi Quentin Tarantino, rivelano le loro radici affondate nell'exploitation.

mercoledì 27 aprile 2011

inseminator from outer space!

Vigasio Sexploitation 2
2010
Italia

Regia: Sebastiano Montresor
Soggetto: Sebastiano Montresor

Sceneggiatura: Sebastiano Montresor, Stefano Sartori


Abbiamo visto questo seguito del primo Vigasio in lusinghiera anteprima e l'entusiasmo suscitato è notevole; un grande ritorno per il cinema agricolo di Sebastiano Montresor!
Iniziamo col dire che i tratti in comune con il predecessore non sono molti, almeno dal punto vista della fotografia e della resa visiva generale. Ciò è un bene, gli autori hanno dimostrato di sapersi rinnovare ed hanno sfornato un prodotto inaspettato, qualitativamente sempre ottimo, ma ricco di personalità; è ancor più evidente il taglio exploitation, SEXploitation, un teatro dell'assurdo che fa il verso alle produzioni che inondavano le grindhouse qualche decennio fa.
Il plot incrocia diverse situazioni: la Terra è a rischio desertificazione, ma il dr. Moreau (nome azzeccato, ed i fan di H. G. Wells lo sanno bene) sta già studiando la soluzione, sfruttando una dimensione speculare del pianeta che potrebbe unirsi con la nostra e dare vita ad una situazione migliore, in primis per quanto riguarda la continuazione della razza umana. A questo va ad aggiungersi la storia di un biker, amante dell'assistente del dottore, e del suo patto speciale. Nota di colore e ben gradita è l'introduzione di un narratore diegetico, un TG e il suo presentatore enunciatario esterno, una sorta di parodia dei contenitori d'informazione che imperversano nella nostra TV, quelli che trattano sullo stesso piano truculenti omicidi e gossip.
Sempre rimanendo nel campo della profondità d'intento vien fuori una particolare attenzione verso il tema attorno a... talune doti della donna, una sua caratteristica, quella che innesca accesi dibattiti ancora oggi e ha sfornato e sfornerà proverbi e saggezze di ogni tipo; non vi sveliamo di più...
Focalizzandoci invece sull'aspetto puramente tecnico, notiamo come che il cromatismo generale della pellicola vira principalmente verso il giallognolo (nel primo episodio era sul verde), il direttore della fotografia Daniele Trani sembra così aver voluto rappresentare il clima di desertificazione imminente. Uso massiccio di telecamera a spalla e dell'idea "carnale" che essa imprime, ma sussiste anche affezione per la profondità di campo, dettaglio da non sottovalutare.
Più di un occhio di riguardo per gli interpreti, forse non sempre sfoggianti cristalline prove attoriali o, ricordando che stavolta ci sono i dialoghi, totale epurazione di cadenza dialettale, ma è palese la volontà di immedesimarsi nella sensazione agricola, ben riflessa anche dagli improvvisati costumi e dalle sgretolate ambientazioni. Citiamo il personaggio dell'assistente, interpretata da Eveline, una musa a livello di quelle dei film di John Waters.
Sono presenti anche degli effetti speciali, anche loro votati al divertissement , ma che fanno una figura migliore di molti altri creati con budget più consistenti.
Più "pulito" è invece lo score musicale, professionale e ben curato. I nomi: Home, Jenny Ferro, Airbag Killex, Sylicon Funk, Pippo & Gas, Cristina Guardini.
Insomma, ci troviamo di fronte ad un prodotto che riporta il nome exploitation nel titolo, omaggia il genere, ma di certo non si limita ad attirare solo tramite un tattico manifesto di presentazione o grazie a frasi d'effetto...

TRAILER

sabato 23 aprile 2011

a se stessi

Things Best Left
2005
Regno Unito

Regia: Anthony Carpendale

Scritto: Anthony Carpendale, Beki Laws

Un dramma psicologico attanaglia la protagonista, ed esso trova il suo sfogo carnale durante le ore notturne, quando inconsciamente si infligge danni fisici. L'epilogo sarà dei peggiori...
Psico-horror basato su un tema molto attuale, una condizione che colpisce vari individui.
Ritmo serrato ed uno sperimentale e "videclipparo" "montaggio delle attrazioni", basato su immagini vicine al subliminale, che ci trasporta nell'incubo della donna.

martedì 19 aprile 2011

cellula germinale

Ovum
2010
Australia

Regia: Aiden Morse, Lochsley Wilson


La nascita: sofferenza fisica e spesso anche morale, nonché gesto animalesco, da un certo punto di vista. Ciò che viene figliato è un prodotto, semplice, insignificante rispetto all'infinito, pronto ad essere cotto e mangiato dalla società, ma anche da chi ha lo ha creato, rendendolo solo uno strumento.
Prova unica per i due registi, che assolvono a tutti gli altri compiti tecnici. In parte la protagonista Pip Archer, che regge pienamente il minuto e mezzo di girato...

venerdì 15 aprile 2011

avvilimento

Crestfallen
2011
Stati Uniti d'America

Regia: Jeremiah Kipp

Scritto: Russ Penning

Parlato già della maestria del regista in questione, insieme ad altri dello staff, in primis il direttore della fotografia Dominick Sivilli; di strada ne hanno fatta e ne faranno, se ne vedranno davvero di belle...
Crestfallen ci parla di Lo, interpretata dalla novella scream queen Deneen Melody, e della sua scelta definitiva, condizionata da eventi disarmonizzanti accaduti in vita, tasselli salienti che spingono a decisioni estreme. Questi sono presentati, ed è qui che avremmo modo di apprezzare il meglio, tramite l'uso del "flashback informativo visivo", in modo intenso ma pratico, senza bisogno di ricorrere molto a dissolvenze o altre transizioni, siamo infatti empaticamente nella mente e nel cuore di lei. Presente qualche effetto, ma solo piccoli sprazzi psichedelici, utili ad accentuare il ritmo. Ad aiutare lo spettatore anche un'enfatizzante musica che sottolinea gli stati emotivi; niente dialoghi, coperti da essa e dalla forza delle immagini.
Racconto verosimile, i drammi presentati sono purtroppo quotidianità...
Good luck, Jeremiah, a risentirci su questi schermi!

mercoledì 13 aprile 2011

l'altra prima volta di Alice

Alice in Acidland
1969
Stati Uniti d'America

Regia: John Donne

Scritto: Gertrude Steen


Una commistione fra i film di propaganda stile Reefer Madness, anti marijuana, e Sex Madness, sulle malattie sessualmente trasmissibili, e della pura sexploitation. L'Alice del titolo entra nel mondo dell'LSD, dell'alcool, del sesso libero, tutte correnti ben percorse nel decennio di produzione.
Poco meno di un'ora di film, e la quasi totalità è coperta da scene di sesso softcore, anche se spinte per l'anno, invero molto noiose e prive di tocco artistico, addirittura un po' goffe per i giorni d'oggi. Ad un certo punto pare che i personaggi si inizino a confondere, i singoli scompaiono a favore di un'unica massa dedita alla passione, il tutto diventa più una vibrazione che della materiale carne. Sembra quasi che per apprezzare il tutto appieno debba avvenire proprio l'assunzione di cui si parla, con la deriva in una docu-dialettica molto esplicativa; il finale è poi una vera e propria interpretazione degli affetti di acidi e affini, a colori rispetto al bianco nero del resto del film.
La conclusione e l'inizio trasudano viva condanna ai succitati vizi, mentre il resto ricostruisce in modo quasi entusiastico, con un'azzeccata scelta di accompagnamento musicale fusion e qualche essenziale effetto sonoro "di piacere".
Certamente recuperabile se interessa il tema.

sabato 9 aprile 2011

la prima volta di Alice

Alice in Wonderland
1903
Regno Unito
Regia: Cecil M. Hepworth, Percy Stow
Soggetto:
Lewis Carroll, Cecil M. Hepworth
Sceneggiatura: Cecil M. Hepworth

Primissima trasposizione di Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, venuta fuori dalla terra madre del romanzo e permeata da un tocco magico, una via di mezzo fra l'amatoriale ed il sorprendente.
Purtroppo non è completa, ma grazie ad un recente restauro ad opera del British Film Institute possiamo godere di 8 minuti circa dei 12 originali, anche se la visione rimane comunque osteggiata dagli stacchi improvvisi e dagli evidenti danni sulla pellicola.
Se nel 2010, per rappresentare l'onirico mondo del romanzo, il signor Burton è ricorso al 3D, nel 1903 si è fatto uso di sovrimpressioni, mascherini e dissolvenze varie; ora sta al destino decidere quale effetto sarà più durevole nel tempo...
L'Alice protagonista, May Clark, se la cava egregiamente, lontana dal patinato mondo che avrebbe accolto in futuro il suo personaggio, e pare anche divertisti, proprio come il resto del cast. Di questi citiamo, per simpatia, anche il Gatto del Cheshire, interpretato da un vero felino in maniera evidente dedito ai fatti suoi, e i soldati carte, una tenera massa di bambini divertiti come se fossero ad una recita studentesca. Sempre a proposito di character, è utile notare che il Cappellaio Matto ha le fattezze mostrate nelle stampe del periodo, scelta data dal fatto che Carroll non ha dato una descrizione fisica precisa.
Bello riscoprire le origini, magari preparando una visione di questo esordio affiancata dall'ultimissima opera ispirata sopracitata.

mercoledì 6 aprile 2011

il Sato fra Sci-Fi e terrore (parte 4)

吸血鬼ゴケミドロ (Kyuketsuki Gokemidoro)
(Distruggete DC 59, da base spaziale a Hong Kong)
1968

Giappone

Regia: Hajime Sato

Scritto: Kyuzo Kobayashi, Susumu Takaku

Un aereo in avaria è costretto ad un atterraggio di fortuna in una zona arida ed isolata; i passeggeri, connotati da diverse personalità, dovranno fare i conti con la situazione e con... la propria morale.
Finale di carriera (in seguito girerà soltanto episodi di una serie TV di genere drama) con decisa rialzata di testa, questa volta vale la pensa il recupero, non rimangono scontenti né gli amanti del terrore né quelli della fantascienza. Ne esce bene il comparto fotografico, con Shizuo Hirase all'opera, un ottimo uso delle luci avvalora il solito ambiente votato al risparmio; buona anche la scelta dei piani, ma Sato da questo punto di vista non ci ha mai deluso. Continuando sul filone dei pregi, finalmente possiamo parlare di effetti sufficienti, che riescono anche ad essere disturbanti come da intento. Non tutti gli attori sono in parte, ma rispetto alle due opere precedenti siamo decisamente su un altro pianeta.
Curiosa la mistura fra spunti filosofici prettamente orientali e canoni della fantascienza del periodo, ne è venuto fuori un prodotto di una certa originalità, non sempre prevedibile e dal buon ritmo. Da notare che il titolo italiano non c'entra assolutamente nulla...

sabato 2 aprile 2011

il Sato fra Sci-Fi e terrore (parte 3)

黄金バット (Ôgon batto)
(Il ritorno di Diavolik)
1966

Giappone

Regia: Hajime Sato

Soggetto: Takeo Nagamatsu
Sceneggiatura:
Susumu Takaku

Livello che non migliora rispetto alla precedente opera, anche se stavolta c'è l'indirizzamento verso un pubblico giovane a motivare alcune scelte che possono sembrare ingenue. Dialoghi e trama in generale sono infatti semplicistici, banali, le scene violente sono il più possibile addolcite, gli effetti ed i costumi sono da sorriso involontario (vedere il personaggio di Nazo e lo stesso protagonista!).
Si parla del Fantaman arrivato da noi principalmente come serie animata, nata da un manga a sua volta originato da un romanzo di Takeo Nagamatsu; il film in esame è comparso a cavallo fra il manga ed il cartone, e in Italia ha beneficiato del nome di Diavolik per richiamare i nostrani personaggi a fumetti Kriminal, simile fisicamente, e Satanik.
Non è certamente un sacrilegio escluderlo dalle migliori opere di fantascienza, ma oggi splende di un certo fascino weird d'annata, pregno di atmosfere "sessentiane" e riferimenti alla fanta-archeologia. I fan dell'anime hanno un motivo in più per recuperarlo...